sabato 13 marzo 2010

DISTRICT 9 (S.Africa, 2009) di Neill Blomkamp


di Neill Blomkamp (Sudafrica, 2015)
VOTO: * * * *

Gli alieni sbarcano sulla Terra e sono brutti, sporchi, ma non cattivi. E sono pure troppi: più di due milioni. Altro che Independence Day o Mars Attaks! O anche solo E.T. o Incontri ravvicinati... Le “creature” scese su Johannesburg non sono né “invasori” spietati e guerrafondai, né entità superiori e romantiche come quelle spielberghiane: sono solo poveri diavoli spaventati e denutriti, arrivati fin qui con una “carretta” spaziale, che vengono confinati dalle autorità sudafricane in baraccopoli orride e fatiscenti, privati di qualsiasi dignità. Trascorrono il loro tempo elemosinando scatole di cibo per gatti e carne putrefatta, rovistano nell'immondizia, sono ripudiati e derisi dagli esseri umani che li chiamano “gamberoni” e li trattano alla stregua di bestie. Logico quindi che , dopo vent'anni di (non) pacifica convivenza, si verifichino i primi episodi di intolleranza e guerriglia. Ed ecco che il governo decide di provvedere allo sgombero forzato del “ghetto” alieno, trasferendo questi ospiti indesiderati un un immenso CPT lontano dalla città...

Vi dice niente questa storia? Beh, sarebbe un attentato all'intelligenza di chi legge spiegare gli ovvi riferimenti alla realtà quotidiana... Quello che invece mi preme dirvi, eccome, è di non perdervi assolutamente questo bellissimo film di Neill Blomkamp: una goduria per gli occhi e la mente di chi scrive e per tutti gli appassionati di fantascienza. District 9 è un film splendidamente classico, che attinge a piene mani dalla fantascienza “politica” e contestatrice degli anni '50, rispolverando un assioma vecchio quanto il mondo ma che, da sempre, è il punto di forza di tutte le pellicole di “sci-fi”: utilizzare il futuro per parlare del presente, sfruttare l'allegoria per mostrare alla gente le storture della società contemporanea. Un'opera dal respiro antico, dunque, ma straordinariamente attuale e “progressista”, che fa riflettere e discutere, sul “come eravamo” e sul “come siamo diventati”, sul destino di una specie umana costituzionalmente violenta e xenofoba.

 La forma è quella del falso-documentario (unica concessione, forse, al cinema di oggi: ormai la moda del “mockumentary” è planetaria): veloce, spiazzante, convulsa, con l'utilizzo (per una volta doveroso e efficace) della camera a spalla e dello stile-reportage tipo CNN che conferiscono al film un aspetto crudo e realistico. Innumerevoli le citazioni cinefile, tutte sincere e circostanziate: da Transformers, a Robocop, a Starship Troopers... fino alla più ovvia e importante, quella de La Mosca, che si esplicita nella figura di Wikus VanDeMerve, un odioso, raccomandato e insignificante burocrate che, incaricato dal governo di dirigere le operazioni di sgombero, viene infettato dal sangue alieno durante una colluttazione. L'inevitabile “mutazione” corporea del malcapitato si accompagnerà a quella spirituale, facendogli prendere coscienza di quello che sta succedendo intorno a lui. Come dire: l'ultima speranza della specie umana è quella di diventare aliena a se stessa.

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