sabato 14 aprile 2018

L'INSULTO

(L'insulte)
regia: Ziad Doueiri (Libano/Francia, 2017)
cast: Adel Karam, Kamel El Basha, Diamand Bou Abboud, Camille Salameh
sceneggiatura: Ziad Doueiri, Joelle Touma
fotografia: Tommaso Fiorilli
scenografia: Hussein Baydoun
montaggio: Dominique Marcombe
musiche: Eric Neveux
durata: 112 minuti
giudizio: 


trama:  Per un banale incidente di lavoro il rifugiato palestinese Yasser, operaio edile, rivolge una parola cattiva contro il padrone di casa, il libanese Tony. I due rifiutano di scusarsi a vicenda, e quella che sul momento sembrava solo una futile incomprensione finirà per scatenare un conflitto legale che travalicherà le aule dei tribunali fino a diventare un clamoroso caso politico.


dico la mia: Una banale lite per una grondaia, una parola di troppo, secoli di rabbia repressa, ed ecco scatenarsi l'inferno. Non con la furia delle armi, per fortuna, ma attraverso i tribunali: poco cambia però in un paese (il Libano) dilaniato da ferite ancora ben aperte e pieno di cicatrici. Un paese ancora diviso a metà tra chi non dimentica il passato e chi invece vorrebbe guardare avanti, tra chi vorrebbe voltare pagina e chi rivendica i dolorosi torti subiti. Un paese che ha la più alta concentrazione al mondo di profughi, confinati in ghetti ai margini delle città, dove la convivenza forzata tra più etnie non certo ben disposte ad integrarsi tra loro lo rendono simile a una polveriera, una bomba innescata sempre pronta a esplodere.

L'insulto è un film emblematico e potente, volutamente didascalico: comincia nei vicoli polverosi di Beirut per poi approdare nelle aule dei processi trasformandosi in un legal-drama che mette a nudo il presente dolorosissimo di un popolo divorato dall'odio, accecato dalla furia dell' ideologia. E' una metafora efficace sul dolore e sul perdono, che il gran merito di riuscire a scansare sempre la retorica: se da una parte sarebbe infatti facile prendere le difese di un popolo oppresso da secoli, sfollato, confinato in una terra di nessuno lontano da quella natìa, dall'altra sarebbe ancora più facile schierarsi con i libanesi, prigionieri in casa propria, invasi da stranieri apparentemente difesi dall'opinione pubblica ma in realtà a malapena sopportati... il regista Ziad Doueiri riesce (non per miracolo ma per bravura) a mantenere sempre la giusta distanza, limitandosi a uno sguardo distaccato ma obiettivo, senza mai prendere le parti per ognuna delle due fazioni.

Un equilibrio che gli è valso addirittura l'arresto al rientro in patria (accusato di collaborazionismo con Israele, paese con cui il Libano è da sempre in guerra) a testimonianza della scomodità di quest'opera rigorosa e profonda, estremamente realistica (in certe parti sembra davvero un documentario) che prende spunto da un caso particolare per trasformarsi in un efficace affresco politico, accendendo i riflettori su una parte del mondo che i media troppo spesso tendono a dimenticare. Così, il piccolo diverbio tra il meccanico Tony (Adel Karam), integralista cattolico, e il taciturno muratore palestinese Yasser (Kamel El Basha, premiato a Venezia con la Coppa Volpi) diventa simbolo del dialogo tra sordi tra due paesi che non riescono a liberarsi dei fantasmi del passato, dove nessuno ha il coraggio di compiere il primo passo per chiedere scusa.

Doueiri non si schiera, non provoca, non lancia messaggi, non fa morale, limitandosi (si fa per dire) a fotografare la situazione. D'altronde un vero e proprio messaggio forse neanche c'è, se non quello di provare (almeno) ad ascoltarsi e capirsi. I drammi del passato, le responsabilità di chi c'era prima, poco contano davanti a un presente gonfio di rancore e odio che pare senza vie d'uscita. La soluzione, o almeno il primo passo, potrebbe essere quella di cominciare a rispettarsi. D'altra parte, come si dice nel film, nessuno ha l'esclusiva della sofferenza.

7 commenti:

  1. Anch'io ho apprezzato particolarmente il distacco con cui il regista porta avanti la storia.
    L'insulto l'avevo inserito al terzo posto dei miei film preferiti del 2017. ok dovevano ancora uscire i prezzi grossi usciti nel periodo degli Oscar ma ciò indica quanto l'abbia apprezzato.
    Davvero straordinari i tre attori principali, i due protagonisti e l'avvocato.

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    1. Assolutamente d'accordo: infatti a Venezia ci siamo chiesti come mai non avessero vinto ex-aequo entrambi i protagonisti (invece del solo Kamel El Basha), forse per questioni regolamentari... ma è un peccato. Film comunque di assoluto rilievo.

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  2. Gran film. Uno dei migliori visti quest'anno. Rigoroso ma non pesante. Una splendida lezione di storia e di civiltà. Come mai non ha vinto il leone d'oro a Venezia?
    Scherzo ovviamente, lo so che è impossibile mettere tutti d'accordo...
    Buona giornata!
    Mauro

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    1. Sai Mauro che invece è rimasto fino all'ultimo in corsa per il Leone d'oro? In molti lo pronosticavano vincitore. Il "problema" è che quest'anno a Venezia c'erano davvero tanti bei film e la scelta è stata difficilissima. Comunque un Leone d'oro a "L'Insulto" non avrebbe certo sfigurato.

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  3. Un grande film, misura, rigore, in questo film c'è il passato che pesa sulle spalle dei protagonisti e lo scorrere del film è come lo sbroglio di una matassa, il riemergere di sopiti rancori, la pretesa di scuse che vanno oltre, vengono richieste scuse per un passato che ha lasciato macerie.
    Un film interessante che coinvolge, un po' come Farhadi con una sceneggiatura impeccabile.

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