martedì 28 novembre 2017

DETROIT

(id.)
regia: Kathryn Bigelow (Usa, 2017)
cast: John Boyega, Will Poulter, Algee Smith, Jacob Latimore, Jason Mitchell, Hannah Murray
sceneggiatura: Mark Boal
fotografia: Barry Ackroyd
scenografia: Jeremy Hindle
montaggio: William Goldenberg, Harry Yoon
musiche: James Newton Howard
durata: 143 minuti
giudizio: 

trama:  Nel 1967 gli abitanti del ghetto nero di Detroit si ribellarono contro le forze di polizia, colpevoli di sanguinose violenze ed efferatezze ai danni della popolazione locale (e non solo). Erano gli anni delle battaglie (spesso furiose) per i diritti civili e contro il razzismo, "propedeutiche" all'assassinio di Martin Luther King. Una pagina nerissima di storia americana.


dico la mia:  Kathryn Bigelow, lo sappiamo, è una regista "con le palle". I suoi film sono un concentrato di azione, muscoli e montaggio frenetico, adrenalinici fino al midollo. Alcuni di questi sono film che ho amato moltissimo (in special modo Strange Days, meraviglioso in quel finale "assurdo" e romantico insieme, ma anche lo spettacolare Point Break), almeno fino a quando l'ex signora Cameron non si è messa a girare pellicole di guerra ad alto contenuto politico, con risultati altalenanti: da The Hurt Locker allo splendido Zero Dark Thirty, fino, appunto, a questo Detroit.

 Che, intendiamoci, sono anche questi film straordinari dal punto di vista tecnico: nessuno, oggi, forse meglio di lei riesce a riversare sul grande schermo (e nella "pancia" dello spettatore) tanta tensione filmica, persino fisica, suggestionando a tal punto chi guarda da farlo sentire partecipe dell'azione, a coinvolgerlo dall'inizio alla fine. Quello che però personalmente mi disturba dei suoi ultimi lavori è la loro ambiguità di fondo, la morale sottintesa quasi a giustificare non solo le guerre "giuste" del suo paese, ma anche l'uso "necessario" della forza (fosse anche per catturare Osama Bin Laden) e il razzismo, sottilmente strisciante, che si insinua anche in pellicole apparentemente insospettabili come Detroit. Ma andiamo con ordine.

 L'incipit di Detroit è tipicamente "bigelowiano": la cinepresa segue passo passo i vari personaggi, catapultandoli immediatamente, con riprese crude, dirette, quasi documentaristiche, dentro l'inferno dei bassifondi della metropoli americana. Assistiamo quasi subito al deflagrare della furia cieca che si annusa nel ghetto, fino a stringere su un'abitazione dalla quale (sembra) siano stati sparati dei colpi a salve verso i poliziotti bianchi. E' l'inizio della fine: i militari sequestrano i residenti e li costringono a confessare con metodi barbari e inumani, prima che la situazione sfugga loro completamente di mano, coinvolgendo perfino altre vittime bianche, in un'escalation di violenze e sopraffazioni da far tremare i polsi.
 
E qui, a mio giudizio, finiscono i meriti di Detroit. Da qui in avanti il film diventa una specie di orrido snuff-movie dove la regista mette in scena tutta la sua perversione verso la violenza più smodata. Vorrebbe essere, forse (ma non ne sono del tutto sicuro), una pellicola "pacifista", ma la Bigelow, proprio come il protagonista di The Hurt Locker, sembra essere attratta anzichè ripugnata da tanta dis-umanità, quasi come un vampiro alla vista del sangue. E si dimentica ben presto di chi ha torto e chi ha ragione: Detroit, eccessivo ed estenuante nella sua lunghezza, finisce alla lunga per assuefarci all'orrore, cercando di coinvolgerci nella sua morbosità. E, diciamolo pure, non fa un grosso favore nemmeno alla comunità afroamericana, dipingendo i neri come ingenui e attaccabrighe, pronti (ed incoscienti) a menar le mani contro i "visi pallidi". Una visione decisamente poco "liberal" per una cineasta che, magari in buona fede, è convinta di esserlo.

Molti recensori hanno accostato Detroit a Diaz di Daniele Vicari, paragone scontato e naturale dato l'argomento affine alle due pellicole. Che però hanno una profonda differenza stilistica e morale: Diaz è uno di quei film (magnifici) che non avrò mai più il coraggio di rivedere per tutta la rabbia, l'indignazione, lo schifo, il dolore (anche fisico) che ti fanno montare dentro. Detroit invece finisce per lasciarci indifferenti al troppo orrore che racconta, all'ipocrisia di fondo di un film che, dopo averci mostrato per due ore e passa ogni possibile efferatezza (non seguite da un'altrettanto chiara condanna) prova a ripulirsi la coscienza nei venti minuti finali girati in tribunale, denunciando l'inadeguatezza e la corruzione del sistema giudiziario americano. Ma è come combattere di fioretto dopo esserci passati sopra con la contraerea...

18 commenti:

  1. The Hurt Locker l'ho patito tantissimo, nel senso che non mi ha detto nulla. Anche Detroit l'ho patito, perché mi ha letteralmente uccisa, ma ritengo che al momento sia uno dei film più belli dell'anno.
    E sinceramente, io che di orrore ne vedo a pacchi, non mi sono sentita "assuefatta", nemmeno per un istante: quello che viene mostrato è successo o, meglio, è stato raccontato da chi è sopravvissuto, non ci ho visto alcun tipo di razzismo, perlomeno da parte della regista. Piuttosto, il ritratto di un popolo stufo di subire, quello sì, di giovani troppo stupidi e attirati dall'odore del sangue per capire che anche le spacconate, quando la corda è tesa, vengono punite nel peggiore dei modi possibili, di bianchi impauriti ma anche bianchi assetati di potere e sì, felici di poter sfogare il loro razzismo e "darsi ragione".
    Se la condanna non è chiara è perché purtroppo la Storia non ha dato giustizia alle vittime, come dimostra il fatto che l'episodio è uno dei meno conosciuti...
    Sinceramente, io non rivedrei né Detroit né Diaz e per gli stessi motivi.

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    1. Credo che sia più che altro questione di sensazioni, come scrive Rebecca qualche commento più sotto. Non credo che ci siano opinioni giuste o sbagliate, ognuno recensisce il film in base a quello che sente. Io ci ho visto molto "sadismo" da parte della regista nel mettere in scena certe situazioni, forse influenzato dai film precedenti (soprattutto "The Hurt Locker", che a mio avviso non condannava affatto la guerra, anzi...). Concordo sul fatto che i neri appaiano piuttosto "stupidi" in questa pellicola, forse troppo, e di sicuro la Storia non ha reso giustizia a questa vicenda tristissima. Ma forse sarebbe stato meglio metterla in mano a un(a) regista più "neutrale", più rispettosa (opinione personalissima) degli eventi.

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  2. Penso che la condanna sia implicita e che non fosse necessario a livello di regia "suggerirla". Riguardo la morbosità non saprei: se le cose (come pare) sono andate veramente in quella maniera, la rappresentazione dovrebbe corrispondere, anche se non ci è dato sapere se e quanto la Bigelow abbia calcato la mano. Effettivamente un minimo dubbio può insinuarsi.
    Sono film, come hai giustamente sottolineato con Diaz, che anch'io riesco a vedere solo una volta.

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    1. Non so se la rappresentazione corrisponda, ovviamente noi vediamo solo questa campana... quello che so è che, come ho scritto, i due film (questo e quello di Vicari) mi hanno suscitato sensazioni molto diverse. Mentre non rivedrei mai "Diaz", che mi ha prostrato anche fisicamente, "Detroit" in qualche punto mi ha persino annoiato.

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  3. Ho visto soltanto The Hurt Locker della Bigelow e mi era piaciuto molto. Il trailer di Detroit non mi ha convinto però, quindi credo lo passerò.

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    1. Scegliere i film in base al trailer è sempre un po' rischioso, anche perchè i trailer sono, per ovvie ragioni, molto "sensazionalistici" e rivolti al pubblico di massa, quello più facilmente suggestionabile. Se dovessi fidarmi dei trailer non andrei a vedere quasi nulla... :) invece, per fortuna, non è così

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  4. Ma non si può scindere la politica dal film? Per me è un grandissimo lavoro, aldilà dell'aspetto etico del quale non m'importa assolutamente niente. Ma avercene di film spettacolari e granitici come questi, che ti incollano allo schermo per quasi tre ore! Per me è promosso a pieni voti

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    1. Dipende dai criteri che usi per giudicare. Io, per quanto mi riguarda, non riesco a scindere l'aspetto etico da quello puramente formale, non ce la faccio. Sbaglio? Può darsi, ma come dico sempre non sono un critico e queste sono recensioni scritte "di pancia" in base all'umore del momento. Ci sono film stilisticamente bellissimi ma eticamente inaccettabili (penso, che so, a "Black Hawk Down" di Ridley Scott oppure "Hacksaw Ridge" di Mel Gibson). Forse è un mio limite, ma me lo impone la coscienza.

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  5. Disturbante e angosciante. Non saprei dire se mi è piaciuto o meno, certo mi ha smosso tantissimo interiormente e questo lo considero un fatto positivo. Ma ho riflettuto anche su quello che hai scritto e comprendo le tue sensazioni. Forse sono proprio le sensazioni che ci fanno piacere o no film come questi. Purtroppo non ho visto Diaz di Vicari (diciamo che non ne ho il coraggio) ma se proprio si deve usare l'aggettivo "necessari" io lo reputo doveroso proprio per pellicole come questa.

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    1. Hai ragione Rebecca. Sono le nostre sensazioni e i nostri limiti etici (e umani) che ci fanno piacere o no certi film. Infatti non dico che ci sono recensioni "guste" o "sbaglate", le sensazioni sono strettamente personali...

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  6. Sono d'accordo con Rebecca, è un film necessario. Ma sono d'accordo anche con te Sauro, i film suscitano emozioni e ti ha comunicato questo, probabilmente avrei le stesse sensazioni vedendo Diaz. E sono d'accordo con la Bolla, è il film più bello dell'anno!Però dissento, secondo me se il film l'avesse diretto Spike Lee, sarebbe stato più retorico, invece la Bigelow sembra volerci dire 'non avete imparato un ca##o, sempre a fare gli stessi errori!'. E non penso che abbia dipinto gli afroamericani come degli ingenui o in cerca di guai, ma ha dato voce e ha regalato in qualche modo giustizia a quelle vittime che non sono state dimenticate dalla storia (sugli scontri di Watts trovi di tutto, sui fatti di Detroit poco o niente). La cosa che mi ha sconvolta di più del film è il personaggio di Krauss (l'attore è da nonimation agli Oscar): siamo nel 1967, l'America stava cambiando e come è possibile che un giovane probabilmente nato nel dopoguerra sia così razzista e ignorante, da usare la divisa come abuso di potere? Secondo me è un film necessario e la Bigelow forse è attratta dalla violenza, ma su quello ne abbiamo già parlato! ;-)

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    1. Insomma, alla fine siamo d'accordo su un sacco di cose! :)
      Scherzi a parte, lo ripeto, tecnicamente e stilisticamente, e anche dal punto di vista interpretativo, il film è davvero ottimo: Spike Lee ormai è talmente "bollito" che farebbe fatica a girare anche un corto!
      E riguardo gli Oscar... sono curioso di vedere se "Detroit" verrà considerato in sede di Award Season: di sicuro lo sarà nelle categorie tecniche (anche se contro "Dunkirk" sarà dura) però non so quanto potrà piacere all'Academy nelle categorie "pesanti" (anche se "The Hurt Locker" lo fu). Vedremo.

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  7. Visto finalmente, ma non so se gioirne: un vero pugno nello stomaco! Certo che la Bigelow con la macchina da presa è proprio una grande eh, aldilà delle valtazione politiche
    Buona serata!
    Mauro

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    1. Eh sì Mauro: con la mdp la Bigelow ha davvero pochi rivali. Buona serata anche a te!

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  8. Capisco quello che intendi, anche secondo me, pur non avendomi disturbato, c'è po' di compiacimento da parte della regista. Bravissimi gli attori comunque, in special modo Will Poulter

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    1. Esatto, brava Helena. "Compiacimento" è la parola giusta: quel compiacimento della Bigelow che, in effetti, può anche non dare fastidio ma che innegabilmente c'è. Riguardo gli attori, sono tutti bravi: non ne ho parlato nello specifico ma dicendo che il film è tecnicamente perfetto mi riferivo anche a loro. E Will Poulter spicca su tutti, concordo

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  9. Avevo notevoli aspettative, ma me lo state un po' tutti ridimensionando...
    Comunque da vedere.

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    1. Lo ridemensiono solo dal punto di vista etico-morale, tecnicamente è un gran bel film. Dipende da cosa si cerca...

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