sabato 1 luglio 2017

L'INFANZIA DI UN CAPO

(The childhood of a leader)
regia: Brady Corbet (Gb, 2015)
cast: Tom Sweet, Berenice Bejo, Liam Cunningham, Robert Pattinson, Stacy Martin, Yolande Moreau 
sceneggiatura: Brady Corbet, Mona Fastvold
fotografia: Lol Crawley
scenografia: Jean-Vincent Puzos
montaggio: David Jancso
musiche: Scott Walker
durata: 115 minuti
giudizio: 

trama:  Il racconto in tre capitoli (corrispondenti ad altrettanti scatti d'ira) dell'infanzia del piccolo Prescott, ragazzino vessato da una famiglia bigotta e conservatrice, e destinato a diventare un futuro dittatore... 


dico la mia:  Meglio tardi che mai. Arriva in sala solo adesso L'infanzia di un capo, a ben due anni di distanza dalla sua presentazione alla 72. Mostra del Cinema di Venezia, dove si è portato a casa ben due premi (miglior opera prima e miglior regia nella sezione Orizzonti). Un debutto sorprendente questo del nemmeno trentenne Brady Corbet, americano trapiantato in Inghilterra dove ha trovato le risorse per girare un film "scomodo" e politicamente scorretto, disturbante e ferocemente ironico, efficace metafora del disfacimento morale di una società classista benestante e ottusa, e dei "mostri" che essa può produrre...

Si legge L'infanzia di un capo, ma in realtà il titolo si potrebbe tradurre come "l'infanzia di un dittatore": liberamente ispirato all'omonimo racconto di Jean Paul Sartre, il film è in effetti un'inquietante allegoria di come può nascere e crescere un futuro despota. Il protagonista è il piccolo Prescott (Tom Sweet), figlio unico e viziato di un ricco diplomatico americano che verso fine del primo conflitto mondiale deve trasferirsi a Parigi con la famiglia per cercare di stringere un difficile negoziato di pace.

Il ragazzino è così costretto a crescere da solo, in un paese straniero, rinchiuso vivo tra le pareti domestiche, coccolato dalla servitù ma trascurato dai genitori: il padre (Liam Cunningham) è praticamente sempre assente, la madre (Berenice Bejo) è una bigotta anaffettiva e annoiata che demanda tutto alle istitutrici. Tra queste si distinguono la bella Ada (Stacy Martin, timida insegnante di francese che subisce le avances del capofamiglia e che diventerà una delle prime vittime della follia del suo giovane allievo) e l'anziana governante Mona (Yolande Moreau), unica persona ragionevole e a tutti gli effetti vera genitrice del ragazzino.

Il film è diviso in tre parti, corrispondenti ad altrettanti scatti d'ira del piccolo: assistiamo così alla sua crescita infelice e al conseguente accumulo di rabbia repressa, alle manifestazioni di isteria, alle punizioni dure e controproducenti nei suoi confronti. Il tutto all'interno di una messinscena volutamente opprimente e sgradevole, che descrive benissimo l'atmosfera rancida di un'immensa casa-prigione che soffoca ogni possibilità di una vita "normale".

Non ci stupiamo affatto, dunque, della rapida metamorfosi del ragazzino, che si trasforma in breve tempo da vittima a carnefice dispensando odio verso chiunque gli capiti a tiro. E man mano la pellicola procede verso l'epilogo, accompagnata da una partitura musicale sempre più assordante e apocalittica, comprendiamo come il totalitarismo finisca per essere sempre legittimato da una folla stolta e imbelle, che non muove un dito per sovvertire le ingiustizie e aiutare il prossimo e che, al contrario, finisce colpevolmente per subire la fascinazione di un presunto "uomo forte" (che in realtà non è altro che un individuo triste e disadattato, divorato dal desiderio di vendetta verso una società a lui ostile).

L'infanzia di un capo è un'opera non certo priva di difetti (più che altro di sceneggiatura) ma diretta con uno stile creativo di indubbia presa sullo spettatore. Si ispira in maniera evidente a un certo tipo di cinema mitteleuropeo contemporaneo, tuttavia personalizzato da un uso sapiente e beffardo dell'ironia: impossibile infatti non pensare a pellicole come Moloch di Sokurov o Il Grande Capo di Von Trier, ma soprattutto a Il nastro bianco di Haneke, altro folgorante postulato sulla genesi di una dittatura. Non siamo ovviamente su quei livelli, ma un debutto del genere è senz'altro da apprezzare e tenere nella massima considerazione.
Piccoli Haneke crescono...

6 commenti:

  1. Viato ieri sera in sala in lingua originale, non potevo lasciarmelo scappare.
    Un buon film anche se, come dici tu giustamente, qualche difetto ce l'ha. Credo inoltre che la colonna sonora abbia fatto il 70% del lavoro di presa sul pubblico.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. La colonna sonora qui svolge un ruolo fondamentale. In pratica scandisce i tempi del film e attira l'attenzione dello spettatore nei momenti-chiavi. La musica assordante del finale ne è la dimostrazione.

      Elimina
  2. Sì, c'è tanto di Haneke in questo film. E questo non mi fa ben predisporre... :) magari però una possibilità gliela dò lo stesso

    RispondiElimina
  3. Lo sto vedendo proprio in questo momento :D

    RispondiElimina

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...