venerdì 23 giugno 2017

HAPPY END

(id.)
regia: Michael Haneke (Francia/Austria/Germania, 2017)
cast: Jean-Louis Trintignant, Mathieu Kassovitz, Fantine Harduin, Isabelle Huppert, Franz Rogowski 
sceneggiatura: Michael Haneke
fotografia: Christian Berger
scenografia: Amy Jane Lockwood, Anthony Neale
montaggio: Monika Willi 
durata: 110 minuti
giudizio: 

trama:  Le (poche) virtù e le (molte) disgrazie di una famiglia borghese del nord della Francia, apparentemente irreprensibile eppure dilaniata da faide interne: tra padri anaffettivi, mariti fedifraghi, figli (e figlie) disadattati e inquietanti, un capo di famiglia luciferino e stanco di vivere, si consuma la disgregazione dei rapporti umani e, più in generale, di una società occidentale opulenta e sorda ormai arrivata al capolinea.


dico la mia:  Mettiamo subito in chiaro le cose: non è possibile girare sempre e solo capolavori, e nemmeno un Autore a pieno titolo come Michael Haneke sfugge alla regola. E' fuori discussione che Happy End non è certo il miglior film del maestro viennese, ma da qui a dare credito a certe stroncature lette dopo la "prima" cannense ce ne corre. Evidentemente è una prerogativa dei grandi festival del cinema portare un artista sul tetto del mondo per poi divertirsi (inopinatamente) a farlo rotolare giù dal carro: in questo, va detto, nemmeno Venezia e Berlino fanno eccezione...

Il difetto più evidente di Happy End balza all'occhio fin da subito: è un film prevedibile, che scorre via esattamente come te lo aspetti, un clone perfetto dell' Haneke-pensiero. A ciò si aggiunge anche una costruzione più grottesca e caricaturale del solito, stilisticamente meno "perfetta" e in certe fasi più debordante che inquietante... tuttavia, non si può liquidare semplicemente come "ripetitivo" un film che mantiene comunque intatta la sua carica disturbante e ferocemente critica verso una società occidentale benestante e altoborghese ormai prigioniera di se stessa, votata all'autodistruzione e totalmente insensibile nei confronti dell'esterno, dei drammi veri della vita.

Si era detto (e scritto) prima di vedere il film che Happy End sarebbe stato un film politico, che avrebbe messo al centro della trama il tema dei migranti e della disumanità del mondo (pseudo)civile. Invece niente di tutto questo, o quasi. Haneke racconta ancora una volta il disfacimento morale e fisico di un gruppo di persone in apparenza irreprensibili, la miseria umana di una famiglia di industriali del nord della Francia alle prese con una serie di problemi sia economici che morali, ma
comunque strettamente privati. Piccoli uomini (homo homini lupus) che si scannano tra loro mentre "fuori" si consuma l'inferno: i migranti si vedono solo in un paio di scene, seppur significative, e servono unicamente ad esaltare l'ipocrisia e la perdita di contatto dalla realtà da parte dell'opulenta classe borghese, che poi è il bersaglio vero del film.

Happy End in questo si dimostra perfettamente coerente con la visione mortifera della società tipica del suo autore: è una pellicola come al solito agghiacciante e opprimente, dove in ogni fotogramma si respira il malessere di una comunità incancrenita e repressa, dove il disagio sottaciuto pare pronto ad esplodere in qualsiasi momento. Eppure la cinepresa non indugia mai sull'orrore tangibile, tutto viene lasciato sullo sfondo, lavorando per sottrazione e facendo ampio ricorso (per la prima volta nella filmografia di Haneke) alle nuove tecnologie digitali e mediatiche, internet e social network su tutti. Vediamo infatti, spesso in primo piano, una serie di video inquietanti girati (non si sa da chi) attraverso lo smartphone, scambi di mail sessualmente espliciti, un uso tipicamente voyueristico delle chat-line, tutti strumenti pseudo-comunicativi che evidenziano in maniera eloquente la povertà di contenuti e le difficoltà comunicative delle nuove generazioni, così "connesse" eppure così sole...

Il ritratto famigliare, ovviamente, non può essere che feroce: vediamo un patriarca ottuagenario cinico e stanco della vita (un mefistofelico Jean-Trintignant), una figlia stressata e infelice, che porta sulle spalle il peso dell'azienda  (Isabelle Huppert), un altro figlio anaffettivo e pluri-adultero (Mathieu Kassovitz), un nipote imbelle e debole (Franz Rogowski) che farà saltare il banco con la sua pazzia. Aggiungeteci poi anche il carico da undici, ovvero una nipotina tredicenne fin troppo sveglia e con istinti omicidi (Fantine Harduin) che dopo la morte della madre andrà ad abitare proprio nella villa dove alloggia la comitiva di cui sopra...

All'ultimo Haneke mancano forse le idee nuove, i guizzi di genialità e inventiva che avevamo ammirato nelle sue grandi opere precedenti. Sembra un film auto-citazionista e già visto, una copia conforme di una visione del mondo che già conoscevamo. Eppure ancora una volta si resta incollati alla poltrona curiosi di sapere come va a finire, ammaliati da una messinscena (forse) risaputa eppure malsanamente coinvolgente. L'unico colpo di coda il regista se lo tiene in serbo per il finale, questo sì beffardo e inaspettato: e, per quanto incredibile, a suo modo questa volta l' happy end c'è davvero... vedere per credere!

11 commenti:

  1. Questo me lo devo ancora vedere, e lo vedrò ^^

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  2. Haneke a ma resta indigesto per il suo nichilismo, ma non si può negare che sia una delle menti più lucide di questo inizio secolo. Quando uscirà lo vedrò sicuramente.

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    1. Più che nichilismo direi una visione critica della società. Haneke ha sempre detto che "non sono io ad essere "cattivo", ma è il mondo che non è per niente bello come sembra...

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  3. Come al solito i tuoi pezzi aumentano la voglia di vedere i film. Questo giuro che non me lo perdo!
    Un abbraccio.
    Mauro

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    1. Grazie Mauro, sempre troppo buono. Non ho idea di quando uscirà il film ma Haneke merita sempre la visione. Ne riparleremo.
      Un abbraccio anche a te.

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  4. Haneke è un regista ambiguo, tra il reazionario e il fascistoide. Cinema alquanto ricattatorio e voyueristico, non mi ha mai convinto

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    1. Ognuno ha i suoi gusti. Però "fascistoide" mi pare davvero eccessivo? Riguardati "Il nastro bianco"...

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  5. Ho fatto un pochino pace con Haneke vedendo Amour che mi ha letteralmente spezzato il cuore ma questa mi pare una visione decisamente troppo forte per il periodo ...comunque al solito ottima analisi

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    1. Grazie mille. I film di Haneke non sono mai passeggiate di salute, e capisco benissimo quello che dici. A me "Amour" era parso un titolo quasi atipico della sua filmografia, anche se a ben vedere anche quel titolo è piuttosto ironico (di amore, in realtà, ce n'è ben poco). Questo film invece è una specie di corollario di tutto il suo cinema. Certamente non facile.

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