martedì 16 maggio 2017

SONG TO SONG

(id.)
regia: Terrence Malick (Usa, 2017)
cast: Michael Fassbender, Ryan Gosling, Rooney Mara, Natalie Portman, Cate Blanchett, Holly Hunter, Patti Smith, Val Kilmer
sceneggiatura: Terrence Malick
fotografia: Emmanuel Lubezki
scenografia: Jack Fisk
montaggio: A.J. Edwards, Keith Fraase, Hank Corwin, Rehman Nizar Ali
musica: Lauren Mikus
durata: 129 minuti
giudizio: 

trama:  Austin, Texas: la giovane Faye, aspirante musicista, s'innamora del "collega" BV, pur essendo (pare) ancora legata sentimentalmente al ricco e subdolo Cook, potente produttore discografico, il quale a sua volta corteggia l'ingenua Rhonda, cameriera in un fast food... 


dico la mia:   Terrence Malick ha diretto appena tre film nei suoi primi venticinque anni di carriera, a loro volta intervallati da una pausa ventennale (da I giorni del cielo, 1978, a La sottile linea rossa, 1998). Poi, cogliendo tutti di sorpresa, dal 2011 ne ha girati praticamente uno all'anno. Non ho idea di quali possano essere state le cause di tanta "astinenza" nel passato e della bulimia compulsiva degli ultimi tempi, ma di una cosa sono sicuro: devono esserci stati alla base fattori profondamente umani prima che tecnici, motivazioni fortemente personali.

Questo perchè Song to Song è, a mio parere, l'ennesima dimostrazione del bisogno, da parte del regista, di esprimersi e "sfogarsi" nel modo a lui più congeniale per tirare fuori i suoi sentimenti e le sue passioni, le sue manie, i suoi istinti profondi, infischiandosene palesemente di chi sta fuori dalla sua sfera intima. Song to Song è infatti il trionfo dell'autoreferenzialità, della totale noncuranza degli aspetti-chiave del cinema stesso in quanto arte, ovvero la ricerca (anche minima) di un pubblico, di una visione collettiva, di una condivisione empatica con lo spettatore.

Malick invece rifugge ogni contatto con il pubblico (magari neppure deliberatamente... non credo che "lo faccia apposta"), lavorando pesantemente per accumulo e affastellando immagini su immagini, sovrapponendo storie, raggrovigliando sentimenti in un calderone panteista che evidentemente lo ossessiona. Non possiamo certo sapere quanto di autobiografico ci sia in quello che si vede sullo schermo, ma tutto sommato non è nemmeno fondamentale: Malick esprime con i suoi film una propria convinzione del mondo, senza lasciare spazio a nessun'altra interpretazione. I suoi ultimi film sono un circolo vizioso che ormai pare essere entrato in loop: il contrasto tra il Bene e il Male, la vacuità delle relazioni, i monologhi estenuanti sullo stato delle cose...

Song to Song "racconta" (si fa per dire) vari triangoli amorosi che si intrecciano ad Austin, la città dove vive il regista, ma non si ha mai la sensazione che quelle storie possano costruire un lungometraggio, che Malick voglia mostrarcele davvero, renderci partecipi. Si va avanti per 129 minuti con un montaggio infinito, dialoghi ridotti a zero, un uso continuo e indiscriminato della voce-off, ma soprattutto, ribadisco, una totale mancanza di empatia verso chi guarda, rendendo la visione pesantemente ostica, per non dire irritante.

Malick ha intrapreso da tempo un percorso artistico del tutto scollegato dal cinema "vero", e per certi versi anche affascinante: magari anche questa è arte (anzi, lo è sicuramente) e non sto affatto dicendo che sia brutta, tutt'altro. In ogni caso possiamo assistere a squarci di struggente bellezza (meravigliosa la fotografia del grande Emmanuel Lubezki, tre Oscar consecutivi per Gravity, Birdman e The Revenant) e intuizioni poetiche degne di nota. Ma anche, per contro, a una sceneggiatura di imbarazzante ovvietà e insopportabili derive filosofiche svuotate di qualsiasi significato tranne quello di rimarcare, in continuazione, la "solita" indifferenza della natura rispetto all'anaffettività dell'essere umano...

Qualche dubbio è lecito nutrire anche sul cast, presupponendo che un cineasta così particolare si circondi di attori in grado di comprendere e adeguarsi al suo stile (Malick non fornisce battute scritte ai suoi interpreti, tutto o quasi è affidato all'improvvisazione). E se le donne (Rooney Mara e Natalie Portman) paiono riuscirci abbastanza bene, molto meno si può dire dei maschietti: Ryan Gosling appare disorientato e monoespressivo, mentre il "povero" Michael Fassbender sembra aspettare in ogni momento che qualcuno gli dica cosa deve fare... ma non c'è da fargliene una colpa: gli attori fanno cinema, quello di Malick è un'altra cosa.
Magari bellissima, ma è un'altra cosa.

19 commenti:

  1. una sbirciatina gliela voglio dare comunque, perchè come titolo mi fa incuriosire ^_^

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Malick va comunque visto, anche solo per spunto di discussione: è il destino degli autori "cult" :)

      Elimina
    2. visto finalmente, non è male come film, pensavo di peggio, certo con to the wonder ha fatto una cavolata di film, un lunghissimo e noiosissimo spot pubblicitario, questo almeno ha una struttura che mi ha sorpresa, ne parlerò molto presto ^^

      Elimina
  2. dopo l'immane pippone che è stato "To the wonder" il nome di Malick mi terrorizza, ma ammetto che il cast era parecchio intrigante...a questo punto mi sa che attenderò il recupero casalingo.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Diciamo che in effetti da "To the wonder" in poi il suo cinema è rimasto praticamente lo stesso... o forse, meglio, il suo modo di essere è rimasto lo stesso, e lui lo ha applicato alla sua arte. Quest'ultimo film in verità è un pochino più narrativo, ma è chiaro che ormai a Malick interessa ben poco raccontare storie.

      Elimina
  3. Io non l'ho trovato pesante, anche se certamente i tempi sono molto dilatati. Però non mi è affatto dispiaciuto, a patto ovviamente che uno entri nella logica del suo autore: non consiglierei mai ad un amico che non sia cinefilo un film del genere!
    Bella recensione comunque, come sempre.
    Buona serata.
    Mauro

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie Mauro. E' chiaro che non consiglierei mai Malick ad un amico o conoscente che non sia strettamente "cinefilo", ma qui il discorso vale per parecchi autori... d'altronde anche il cinema, come tutte le arti, andrebbe studiata.

      Elimina
  4. Io volevo vederlo per il cast, ma ho visto The Tree of Life qualche giorno fa e credo che eviterò i suoi film per un po'.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Eh... "The Tree of Life"costituisce il massimo dello straniamento targato Malick. E, a mio modestissimo parere, il punto più alto toccato dal SUO cinema negli ultimi anni. Ostico ma affascinante. Il problema è che i titoli successivi non sono che copie conformi.

      Elimina
  5. Secondo me Malick è principalmente un filosofo e usa il cinema per 'scrivere' un trattato, usando le immagini invece delle parole. :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. E' quello che penso anch'io. Però la sua filosofia è strettamente personale e non contempla adepti. E' una scelta anche questa, ci mancherebbe.

      Elimina
  6. Carissimo Sauro, aspettavo la tua visione e recensione. Come ben sai, da profondo amante dell'arte ed estetica malickiana, ho atteso con impazienza questo nuovo progetto del regista texano.
    In linea di massima, sono molto d'accordo con ciò che scrivi. Ho trovato "Song to Song" molto più affine a "To the Wonder" che a "Knight of Cups". Sono davvero convinto, come ti scrissi in occasione dell'uscita del film precedente, che il lavoro del buon Malick si stia allontanando dal cinema inteso come arte raffigurativa per avvicinarsi ad una videoarte dal carattere astratto ed evocativo (ed è una direzione che apprezzo profondamente). Nonostante ciò, trovo che "Song to Song" sia un piccolo passo indietro in questo flusso creativo: come giustamente sottolinei, qui è presente una evidente componente narrativa (che peró necessita di sue strutture e regole), che fa in modo che secondo me questo esperimento sia meno potente e riuscito di altri suoi lavori.
    Come in "The Neon Demon", l'estetica a discapito della sostanza secondo me è funzionale nel rappresentare la vacuità dell'ambiente raccontato; il voiceover, questa volta ridondante e falsamente profondo e quasi irritante, trovo che ben caratterizzi i personaggi. Sono totalmente concorde quando dici che Malick ormai faccia "cinema" per necessità terapeutica personale, per seduta psicanalitica. In questo senso trovo il montaggio sempre più geniale. Dall'altro canto, è altrettanto vero che può escludere lo spettatore: mi sono trovato per la prima volta ad osservare un suo lavoro senza entrarne veramente in contatto emozionale, come invece "The Tree of Life" e "Knight of Cups" erano riusciti a fare. "Song to Song" è inoltre secondo me un tentativo di dare senso ai propri ricordi, ma attraverso una visione femminile, per la prima volta nella seconda era creativa della sua filmografia (ma altro fattore che mi ha leggermente estraniato, nonostante potessi riconoscere spunti affini anche a mie esperienze autobiografiche).
    Curiosamente, infine, l'ho trovato utile per il mio lavoro di ricerca: mentre altri suoi progetti sono stati per me esperienze catartiche fortemente influenzanti, per la prima volta, mi sono qui trovato a pensare "forse qui avrei fatto diversamente": segno incoraggiante che forse sto andando in una direzione più personale e meno Malick-dipendente :)

    Daniele

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Caro Daniele, ma lo sai che sono andato a rileggermi la recensione di "To the wonder" e mi sono accorto che avevo scritto più o meno le stesse cose? Compresa la battuta finale, "quella di Malick è arte, ma il cinema è un'altra cosa"... segno evidente che, indubbiamente, ormai l'arte di Malick, qualunque essa sia, è davvero ben definita e riconoscibile (la scoperta dell'acqua calda, me ne rendo conto, come si fa a non riconoscere un film di Malick? Era solo per dire che il regista texano ha ormai intrapreso una strada senza ritorno...)
      Sono d'accordissimo con quello che scrivi: che i suoi film (gli ultimi) piacciano o no, "Song to Song" è un passo indietro a tutti gli effetti. Segna un parziale ritorno alla narrazione che non è sorretto da una sceneggiatura adeguata, e non basta dire che a Malick frega poco della sceneggiatura: può anche essere vero, però il film così non sta in piedi. Che poi lui lavori per necessità terapeutica è un problema (o un pregio) tutto suo, ma non per questo non possiamo non sottolinearne i difetti.
      La tua ultima battuta, poi, mi fa sorridere: hai ragione, è buon segno... dai maestri bisogna trarre spunto per poi evolversi con il gusto e il talento personale: buona fortuna!

      Elimina
  7. Il cast è molto attraente, ma Malick molto meno. L'autoreferenzialità è il suo difetto peggiore e se è vero che ognuno può prendere le suggestioni che vuole dal suo cinema (grande pregio della sua visionarietà), è anche vero che una base anche minima di considerazione dello spettatore ci deve essere e lui se ne infischia.
    Credo proprio che Song to Song me lo eviterò!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Credo che, come dice Daniele sopra, "Song to Song" sia un passo indietro rispetto agli ultimi Malick, proprio perchè non si discosta affatto dalla sua autoreferenialità (e questo ci si poteva aspettare) alla quale però aggiunge un parziale ritorno alla narrazione che non sta molto in piedi: la sceneggiatura è oggettivamente imbarazzante, così come il modo di raccontare, tutto in voce over... non so dirti se evitarlo o meno: io l'ho visto perchè credo un Malick meriti comunque la visione, anche solo per parlarne, ma è indubbio che questo film non aggiunge molto alla sua filmografia.

      Elimina
  8. Visto ieri e concordo su tutto, numero di stelle incluso.
    D'altronde ormai pare palese che Malick ama il cinema, ma ama ancora di più se stesso.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Io direi che Malick ama il cinema per stare in pace con sè stesso... non vedo narcisismo nei suoi lavori, ma solo un impellente bisogno di esprimersi. Ovviamente a modo suo.

      Elimina

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...