sabato 6 maggio 2017

SOLE CUORE AMORE

(id.)
regia: Daniele Vicari (Italia, 2017)
cast: Isabella Ragonese, Eva Grieco, Francesco Acquaroli, Francesco Montanari, Giulia Anchisi, Chiara Scalise, Paola Tiziana Cruciani
sceneggiatura: Daniele Vicari
fotografia: Gherardo Gossi
scenografia: Beatrice Scarpato
montaggio: Benni Atria, Alberto Masi
musica: Stefano Di Battista
durata: 113 minuti
giudizio: 

trama:  Eli ha quattro figli e un marito disoccupato. Ogni mattina si alza prima dell'alba per raggiungere il bar dove lavora: due ore per coprire cinquanta chilometri e tanti rospi da ingoiare. Vale invece fa la ballerina e sogna un posto al sole, oltre che badare ai figli di Eli. Due donne, due facce della stessa medaglia, quella di un' Italia precaria e senza cuore, dove non c'è spazio per la tenerezza. 


dico la mia:  "Dammi tre parole, sole, cuore, amore..." così recitava una famosa canzonetta estiva di qualche lustro fa, che Daniele Vicari ha voluto rispolverare per il suo ritorno al cinema di finzione, cinque anni dopo il durissimo Diaz. Il titolo, è bene dirlo subito, è volutamente fuorviante: Vicari lo ha scelto proprio per la sua immediatezza, per il suo essere espressione della cultura popolare e dell'ordinaria quotidianità, perchè come dice lo stesso regista "quello che il film racconta non sono storie di persone ai margini, ma possono interessare il 90% della popolazione italiana".

Ma di cosa parla dunque Sole cuore amore?  E' la storia di due persone assolutamente normali che si dibattono in una realtà, quella di tutti i giorni, con la quale viviamo a stretto contatto e che diventa sempre più dura e drammatica senza che ce ne rendiamo esattamente conto. Eli (Isabella Ragonese) è una trentenne con quattro figli a carico, un marito disoccupato e un lavoro in nero in un bar di Roma. Per questo lavoro ("benedetto", dice lei) si alza alle quattro del mattino e rientra alle dieci di sera, giusto in tempo per mettere a letto i piccoli. Sette giorni su sette, festivi compresi, come richiestole dal datore di lavoro che le decurta dalla paga i ritardi dovuti ai mezzi pubblici. La mattina quando esce di casa incrocia spesso l'amica Vale (Eva Grieco), una ballerina che si esibisce sottopagata nei locali notturni con l'illusione di riuscire a sfondare...

Eli è una persona esuberante, vitale, che affronta col sorriso le difficoltà, si muove dietro al bancone del bar con la presenza di un'attrice consumata. Vale invece è introversa, timida, sessualmente confusa, oppressa da una madre bigotta e incapace di capirla. Entrambe si dibattono nelle periferie della metropoli per sopravvivere, con grande dignità e senza un filo di retorica. Questo è il grande merito del film: mostrarci la drammaticità del precariato senza (s)cadere nemmeno una volta nel pietismo. In certi punti sembra davvero un film di Ken Loach o dei Dardenne, come in molti hanno scritto, ma senza la pesantezza e la didascalicità delle situazioni. Ha ragione Alberto Crespi, critico di Hollywood Party e de L'Unità: sembra davvero un film neorealista, oltre che di un'umanità sconcertante. Non si ha mai, dico mai, la sensazione che i personaggi recitino una parte: non dimentichiamoci che Vicari è anche un ottimo documentarista, e perciò a suo agio nel metterci di fronte alla realtà.

E' la realtà è quella dell'Italia di oggi, un paese egoista, razzista e ripiegato su se stesso, dove la precarietà è all'ordine del giorno e finisce con l'incattivire le persone, mettendole l'una contro l'altra, in un'insensata guerra tra poveri, dove il Lavoro, quello con la "L" maiuscola, ormai non è più un diritto ma una formidabile arma di ricatto: quello che persone miserevoli e meschine, del tutto insignificanti, perpetrano a danno dei più deboli, uno sfruttamento ormai talmente accettato e diffuso da essere perfino (o quasi) giustificato...

Sole cuore amore non è altro che la cronaca di una sconfitta annunciata, che si dipana alla vista dello spettatore nello stesso modo con cui lo stesso (e noi tutti) accettiamo passivamente il degrado etico, economico e morale di questo paese. Comincia con toni quasi leggiadri (bellissimo l'iniziale montaggio alternato, che ci mostra Eli che serve i clienti e Vale che si esibisce in discoteca, due lavori diversissimi eppure accomunati dalla stessa perfezione estetica) per poi virare verso un epilogo sempre più drammatico e ineluttabile: vediamo Eli cominciare a perdere energie, salute, lucidità. Vediamo i suoi occhi annebbiarsi e le immagini farsi sfocate, i rumori soffusi, ovattati, privi di senso.

Tratto da un episodio di cronaca realmente accaduto, Vicari mette in scena magistralmente la lotta impari contro l'ingiustizia sociale, dove purtroppo a soccombere prima degli altri sono proprio quelli che in apparenza appaiono più forti e determinati: perchè in questi soggetti la frustrazione e la delusione pesano ben più rispetto a chi è già rassegnato...

Grande ritorno questo di Vicari: pochi registi, almeno in Italia, hanno la lucidità per raccontare in questo modo il paese reale. Film imprescindibile, commovente, perfino necessario (detto da me, che ho sempre odiato questo termine). Non solo per il messaggio che porta ma anche per come lo rappresenta: da apprezzare le musiche di Stefano Di Battista, la fotografia di Gherardo Gossi (che illumina una Roma tetra e quasi "luciferina") per non parlare, ovviamente, della sua splendida protagonista: che Isabella Ragonese fosse assai brava già lo sapevamo, ma in questo ruolo è praticamente impossibile non innamorarsi di lei.

11 commenti:

  1. Bello. Unico difetto, forse, quello di mettere troppa carne al fuoco (precarietà, bullismo, razzismo, femminicidio) però tanto di cappello a un regista capace sempre di scuoterci con i suoi film: ho provato al cinema la stessa rabbia che mi prese con "Diaz", ce ne fossero di opere così!

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    1. La troppa carne al fuoco è l'Italia (ma forse il mondo) di oggi: difficile, con un tema così, lavorare per sottrazione. Gran film, comunque: forse meno "incazzato" di Diaz ma altrettanto drammatico. Capisco bene le reazioni che ti ha scatenato: sono le stesse che ho provato io...

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  2. Non vedevo l'ora di vederlo, e l'attesa è stata ripagata. Grande Daniele Vicari, regista sensibile e intelligente, che affronta ogni film con il "taglio" giusto. Se in Diaz privilegiava l'emotività e la violenza, qui i toni sono soffusi e melliflui, perchè come hai detto te il tarlo della tragedia si insinua poco a poco, tanto da lasciarci quasi indifferenti

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    1. Perfettamente d'accordo con te. Sono contento che ti sia piaciuto ;)

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  3. Bello. Ma è tanto difficile in Italia fare film come questo? (domanda retorica)

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    1. In Italia, molto più difficile che altrove (risposta retorica)

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  4. Hai dato il massimo voto a questo film, lo voglio vedere ^_^

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    1. Sì, e sai che sono piuttosto prudente nell'assegnare il massimo dei voti: lo faccio con grande parsimonia. Ma per questo film era assolutamente giusto: se hai occasione vai a vederlo e consiglialo a più persone possibile

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  5. Bello. Un film di sembianze romantiche e dalle atmosfere suggestive, ma è duro esattamente quanto Diaz

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    1. Come ho scritto sopra, le sensazioni che sprigiona sono proprio le stesse: rabbia e disgusto. Le atmosfere sono diverse ma non la visione d'insieme di questo paese derelitto (e invisibile nei media principali: anche questo è un punto in comune con il Neorealismo degli anni '40-'50)

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