mercoledì 22 aprile 2015

(MENIAMO LE MANI...) FRANCES HA

E' con grande piacere che, su invito della carissima amica Alessandra, del blog Director's Cult (cliccate qui), mi presto a un simpatico 'duello' cinefilo che in realtà non è che un giochino per avviare future collaborazioni con tutti i blogger amici che vorranno prestarsi all'iniziativa... un modo 'irriverente' per conoscersi a vicenda e scambiare opinioni: l'idea è quella di recensire un film su cui io e il mio 'ospite' siamo in completo disaccordo (e ce ne sono, tutti abbiamo quintali di recensioni su cui siamo pronti a 'menar le mani' a vicenda!) e pubblicarle a 'sezioni contrapposte' sui rispettivi siti. 

Inauguriamo dunque questo spazio con Frances Ha, filmino delicato e irriverente per chi è piaciuto (Alessandra), inconsistente e ruffiano per chi non lo ha amato (il sottoscritto). 
Appuntamento alle prossime occasioni!


FRANCES HA
(id.)
di Noah Baumbach (Usa, 2013)
con Greta Gerwig, Mickey Summer, Charlotte d'Amboise, Adam Driver, Patrick Heusinger
durata: 86 minuti







LA RECENSIONE DI DIRECTOR'S CULT

La generazione di oggi vuole fare questo, vuole fare quello, ma non ha voglia di farlo.
E' un po' brutale messa così, o meglio come la mette in bianco e nero Noah Baumbach, che con Frances Ha potrebbe essere perfettamente catalogato come radical chic - proprio da coloro che non sanno che etichetta indossare per presentarsi agli occhi del mondo.

Negli anni Novanta c'era la Slacker Generation (rappresentata da Baumbach stesso nel suo ultimo film, While We're Young), nel Ventunesimo secolo, c'è... Boh, non si sa cosa c'è.
Se Frances fosse un oggetto di studio cinematografico, finirebbe per essere la figlia di un 'certo' Benjamin Braddock, che anche lui non aveva uno scopo nella vita dopo la laurea.
Se Frances fosse un oggetto di studio sociologico, finirebbe nella categoria 'eterno Peter Pan'- tanto usata per classificare quei giovanotti che stanno tanto bene a casa e che non pensano assolutamente di sposarsi perché niente e nessuno rammenda i calzini e fa una cena favolosa come solo la mamma sa fare.

Ecco, Frances ne sembra la variante. Scioccamente la si può etichettare come 'sindrome di Trilly'?
Baumbach presenta la nostra 'eroina' scanzonata, che balla al parco e scorrazza in giro con la migliore amica Sophie, che lavora per una casa editrice.
Frances fantastica con Sophie di vivere nel Village, di diventare una ballerina e la sua amica una famosa scrittrice, vivendo con lei, tanto da rompere con il suo fidanzato (prendere un gatto insieme e vivere come una famigliola, stai scherzando vero?).
Però Sophie ha fatto uno step in più: si è fidanzata, si trasferisce prima nel Village (che Frances non può permettersi), poi si trasferisce in Giappone. E Frances rimane così, immobile. Perché sognare è facile, ma mettere in pratica, 'sbattersi', un po' meno.

Sophie si evolve, Frances, no.
Sophie è cresciuta, Frances no.
Sophie sa (al momento) cosa vuole dalla vita, Frances anche, ma non ha la forza o semplicemente la voglia di reagire e cambiare radicalmente la sua vita.
Certo, vive a New York, ma fa fatica a sbarcare il lunario. Vuole fare la ballerina, ma non ha la motivazione necessaria e non combatte per ottenere ciò che vuole.
Più che definirla inconcludente, Frances sembra stritolata dalla sua situazione in stallo. Cerca di vivere con nuove persone (artisti mantenuti dai genitori), una nuova amica con cui ca**eggiare come con Sophie. Però non funziona.
Sophie però mica è messa molto meglio. Segue alla perfezione le regole: lavoro, famiglia, vita borghese ad ottimi standard. Sophie taglia i rapporti con Frances, ma non è felice, è in crisi.
Sophie sa cosa vuole, ma una volta ottenuto scopre che non è soddisfatta.  Frances non sa cosa vuole, e scopre che non è soddisfatta altrettanto.
Questa situazione di perenne immobilità la porta dappertutto e da nessuna parte: New York, dove vive in modo bohémiene con locali fighi e conti salati da pagare, Sacramento  dove si sente al sicuro a casa dei genitori, Parigi dove passa un weekend in estrema solitudine e senza aver assaporato o goduto niente della fascinosa metropoli.

E con il soggiorno Parigino Baumbach focalizza la sensazione di Frances di vivere persa nel vuoto, senza una meta e senza uno scopo preciso, sprecando tante occasioni che bussano alla porta. Perché Frances sa che la sua vita è un casino, però non sa da che parte cominciare a raccogliere i cocci e rimettersi in carreggiata.
Baumbach sembra non volere fare sconti alla generazione '?' e allora non fa regali a nessuno, facendo arretrare Frances, facendole toccare il fondo, facendola dormire nel dormitorio della sua università, facendole fare lavori saltuari.
Ecco, Frances finalmente (o almeno, si spera) ha capito la lezione e abbassa il tiro, arrivando a fare compromessi con una vita piena di incognite.
E Frances Hallaway ristretto in 'Ha' sul nome del citofono è un buon inizio.

Con Frances Ha, Noah Baumbach ritorna allo stile ormai considerato 'vintage' dei film indipendenti tipici degli anni Novanta, girato per strada strizzando volutamente l'occhio un po' a Godard e al suo Fino all'ultimo respiro, un po' allo stile nevrotico/newyorkese di Woody Allen - mettendoci di suo i conflitti generazionali e lo smarrimento di una gioventù che credeva di potere avere tutto, e invece non ha ricevuto niente. Con l'aggravante di non sapere agguantare con tenacia e testardaggine ciò che si vuole.
E se lo stile di Baumbach risulta un po' leccatino e vagamente 'parac*lo', non si può negare una certa empatia e simpatia per questa scombinata ragazza, che si definisce 'infidanzabile'.
Frances Ha è una commedia ben scritta dalla brava protagonista Greta Gerwig - una commedia leggera dal retrogusto amarognolo, ma anche uno sguardo su una società un po' persa per strada.


LA RECENSIONE DI SOLARIS

Giovane, carina, disoccupata. E anche un tantino sfigatella, specialmente con l'altro sesso, tanto da meritarsi la qualifica di 'infidanzabile' (undateable, nel film). Frances Ha(lladay, ma il nome non entra sulla targhetta del citofono) è una normalissima ragazza trentenne che non sa cosa fare della sua vita: vorrebbe (forse) diventare ballerina, ma sa di non avere talento. Vorrebbe (forse) sistemarsi e trovare una casa decente, ma capisce di non essere fatta nè per la convivenza nè per il coinquilinaggio. Vorrebbe (forse) cambiare aria, ma come quasi tutti gli americani si sente un pesce fuor d'acqua non appena mette i piedi fuori dal suo paese...


Frances Ha arriva nelle sale italiane con due anni di ritardo, ma in realtà è il film stesso ad arrivare fuori tempo massimo: sarà perchè il sottoscritto, che giovanissimo non è più, si è ormai un po' stancato di questi filmini minimalisti e fintamente indie (e parecchio snob) sarà anche perchè nello stesso giorno di Frances Ha (di cui tutti mi avevano parlato bene) dopo due ore rivedi Una giornata particolare di Scola e capisci quanto, nel cinema e nella vita, siano importanti le proporzioni... fattosta che mi sono un po' rotto di questa ennesima pellicola inconcludente sull'inconcludenza, dove tutti e tutte barboneggiano saltando da un divano letto all'altro cercando la propria strada (come nell'altrettanto inconcludente Oh boy di Gerster), ovviamente senza mai trovarla e, altrettanto ovviamente, non si sa come, trovando sempre i soldi per lo smartphone di ultima generazione e cospicue bevute nei locali trendy della Grande Mela. Anzi, a dirla tutta, il 'come' lo sappiamo benissimo: grazie ai rispettivi genitori che, guardacaso, sono sempre munifici, compiacenti e tolleranti nei confronti dei figli debosciati.


Mi rendo conto che quanto ho scritto finora sa molto di umorale e molto poco di cinefilo, quindi prendete questa recensione per quello che vale (cioè pochissimo). Però, davvero, personalmente m'importa poco se Frances Ha non è affatto un brutto film, se la bravissima Greta Gerwig (anche sceneggiatrice) si è guadagnata una giusta nomination all'oscar, se il regista Noah Baumbach ha realizzato uno di quei film che Woody Allen da tempo non riesce più a fare... è che non ne posso più di queste pellicole di plastica, costruite con lo stampino, con la loro bella colonna sonora e l'immancabile, insopportabile, bianco e nero che fa tanto 'fighetto' e molto 'fvancese'. Frances Ha è un film stanco e già (ri)visto troppe volte: forse negli Usa non conoscono Nanni Moretti, ma sarebbe utile spedire a Baumbach un dvd di Ecce Bombo, giusto per fargli presente che già una quarantina d'anni fa c'era chi aveva ben inquadrato una generazione di figli di papà viziati e nullafacenti, senza però giustificarli e cercare di fargli guadagnare la simpatia dello spettatore.


Forse chi scrive è un vecchio brontolone, rancoroso e sempre più insofferente. Ma libero di manifestare una certa allergia verso un tipo di cinema che ormai non ha più niente di spontaneo, e che in America ha perfino trovato un termine che lo cataloga perfettamente, ovvero mumblecore, vale a dire pellicole che strizzano l'occhio e simpatizzano furbescamente a certi comportamenti che, a mio personalissimo modo di vedere, tutto sono tranne che formativi per i nostri 'ggiovani'. Ma ecco che già sento mi piovere addosso le prime accuse di moralismo: e allora mi fermo qui, limitandomi a ribadire la mia conclamata intolleranza di quarantenne...

3 commenti:

  1. Molto bella l'idea del menare le mani tra bloggers!
    Praticamente io e Cannibal siamo veterani, ormai! :)

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  2. Ottima idea, davvero!
    Saluti.

    Mauro

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  3. Grazie mille! Sì, è un giochino simpatico che, oltre a divertirsi, serve a far conoscere e proporre il buog. Spero di ripeterlo in futuro, con chiunque ci voglia stare: l'invito è aperto a tutti! :)

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