lunedì 11 agosto 2014

TRUE DETECTIVE (STAGIONE 1)

(id.)
di Cary Joji Fukunaga (Usa, 2014)
con Matthew McCounaughey, Woody Harrelson, Michelle Monaghan
durata: 8 episodi di 60 minuti

Prima o poi doveva succedere che anche Solaris si occupasse di serie tv, per certi versi stimolato dall'interessante dibattito sorto in occasione del post dedicato all'argomento (vedi qui). Certo, con mia grande sorpresa, non potevo immaginare che la prima serie visionata dal sottoscritto si sarebbe rivelata... beh, sì: la migliore 'cosa' vista finora in quest'anno solare. Senza alcun dubbio. Tengo a precisare che la mia è un'opinione 'dilettantesca', cioè quella di un appassionato cinefilo che si è buttato nel mondo dei serial con occhi e ritmi da cinefilo, e che in quanto tale prova a buttar giù una recensione. Per questo vi chiedo comprensione e 'pirdunanza' (per dirla alla Camilleri) per le eventuali ovvietà che scrivo: ma forse sarà interessante anche per i 'serialisti' incalliti incontrare uno sguardo 'vergine' in materia...

Ricordo che tempo fa, proprio su un forum di cinema, mi trovai a dover prendere posizione in un infuocato scambio di battute su Michael Mann  (ovvero, a mio modestissimo parere, il miglior cineasta ancora in vita). Il tema era: cosa fa di Michael Mann un grande regista? La mia risposta fu lapidaria: la capacità di rendere indimenticabili anche le storie più banali, giocando sulle atmosfere, i dialoghi, la costruzione dei personaggi, i virtuosismi della macchina da presa. Ecco, vedendo ogni puntata di True Detective a me è sempre venuto in mente Michael Mann, e non solo per l'ormai 'leggendaria' sparatoria in piano sequenza del quarto episodio, ma soprattutto per lo straordinario contrasto tra la banalità dell'impianto narrativo e l'incredibile complessità introspettiva dell'intera serie.

Il canovaccio di True Detective, infatti, non potrebbe essere più banale: si parla del solito serial killer che uccide le solite giovani prostitute, col solito potente di turno pieno di scheletri nell'armadio che cerca di insabbiare le indagini. Perfino l'assassino, alla fine, si rivelerà essere proprio il più sospettabile di tutti... segno evidente, lapalissiano, che al regista Cary Fukunaga e allo sceneggiatore Nic Pizzolatto ben poco importa della trama. Del resto lo dice il titolo stesso: True Detective è, prima di tutto, la storia di due uomini e non la cronaca di un'indagine. Negli otto episodi impariamo a conoscere, odiare, rispettare e trepidare per le vite di Rust Cohle e Marty Hart, ed è questo il vero punto di forza della serie: attraverso i continui salti temporali (la vicenda si svolge nell'arco di quasi vent'anni, dal 1995 al 2012) vediamo l'evoluzione del complicato rapporto tra i due protagonisti, che condiziona pesantemente non solo il loro lavoro ma anche la loro vita privata. E True Detective è soprattutto una storia privata, quella di due persone devastate psicologicamente e moralmente da una realtà mostruosa, che riaffiora in continuazione e che ovviamente non è possibile scrollarsi di dosso.

La vera indagine di True Detective non è su chi abbia ucciso la giovane Dora Lange, ma sulle esistenze dei due poliziotti: due caratteri diversissimi, apparentemente incompatibili, in realtà accomunati dalla loro disperata solitudine. Quella di Cohle è una solitudine auto-imposta, nichilista, punitiva, retaggio di un passato doloroso. Quella di Hart invece è dettata dall'ipocrisia e dal perbenismo di un uomo rozzo e violento, socialmente integrato eppure drammaticamente impresentabile. Sono due uomini che lottano principalmente contro loro stessi e le loro pulsioni malsane, tentando di scacciare i propri demoni e cercando un posto in un mondo che non si sono scelti e che non è affatto perfetto: non è un caso, infatti, che la vicenda si svolga in Louisiana a cavallo degli anni prima e dopo il terribile uragano Katrina, e quelle zone paludose, selvagge, putride, semi-abbandonate, devastate dalla furia degli elementi, sono un chiaro simbolismo del marciume che impregna la società attuale.

True Detective è talmente complesso e sfaccettato da sembrare un manuale di psicologia, tremendamente affascinante e bisognoso di essere assimilato e metabolizzato a piccole dosi. Non sono d'accordo infatti, dal basso della mia inesperienza, con chi dice che questa più che una serie sia, per la sua brevità, un lungo film della durata di otto ore... a me pare che ogni episodio sia talmente denso di significati, allusioni e simbolismi tali da dover essere per forza lasciato decantare dopo la visione. Bisogna rifletterci sopra, e trovo sia impossibile 'spararsi' gli otto episodi di seguito, uno dopo l'altro, come i serial-addicted amano fare... così facendo si rischia di banalizzare tutto, di passare sopra a dettagli fondamentali, di annacquare la portata e la potenza evocativa di un prodotto di qualità eccelsa anche proprio per la maniacale cura dei particolari.

E' impossibile infatti non accorgersi dell'incredibile accuratezza della confezione: dalla mirabilante fotografia densa e 'appiccicosa', ai movimenti di macchina che inquadrano (quasi) sempre dall'alto la monotonia e l'inquietudine di un paesaggio selvaggio e compromesso, fino alla partitura musicale di T. Bone Burnett che gioca un ruolo fondamentale nel tratteggiare gli stati d'animo incostanti dei due protagonisti. Aggiungete poi la splendida sigla iniziale, con i titoli di testa che scorrono sulle note di Far from any road di Handsome Family e che in pochi minuti già 'preparano' lo spettatore a quello che vedrà di lì a poco: una intro avvolgente, inquietante, tipicamente 'sudista', che quasi ti accompagna in questo pezzo d'America martoriato e dimenticato.

E infine, ovviamente non in ordine d'importanza, parliamo degli attori. Chi ancora ha dei dubbi sulle qualità recitative di Mathhew McCounaughey, anche dopo l'oscar per Dallas Buyers Club, si metta l'anima in pace e si guardi le otto puntate di True Detective: la sua interpretazione è semplicemente strepitosa, non lascia spazio ai detrattori. Anzi, possiamo tranquillamente azzardare un pronostico: il personaggio di Rust Cohle probabilmente gli resterà incollato addosso per tutta la vita. Poche altre volte abbiamo visto una caratterizzazione così efficace di un uomo complesso, tormentato e diabolicamente affascinante, votato inesorabilmente all'autodistruzione: Cohle è un perfetto anti-eroe moderno, icona suo malgrado di un presente inquinato fino al midollo e pronto per essere adorato da legioni di fan. Apparentemente più facile, invece, è la caratterizzazione del suo partner lavorativo, Marty Hart, impersonato da Woody Harrelson. Hart a prima vista è l'elemento più 'solido' della coppia: ha una bella moglie (Michelle Monaghan, anche lei bravissima), due figlie, ama la pesca e conduce una vita all'apparenza irreprensibile. Ma più lo impariamo a conoscere più ci accorgiamo della sua fragilità: è una persona ambigua, debole, inaffidabile. Sul lavoro subisce inesorabilmente il carisma e le intuizioni di Cohle, finendo per odiarlo senza mezzi termini. Ma la figura di Hart è importante almeno quanto quella del compagno: rappresenta la coscienza sporca dell'America, l'ipocrisia di una società perbenista e chiusa, disposta a chiudere anche entrambi gli occhi pur di conservare il proprio stato sociale.

Hart e Cohle sono due facce della stessa medaglia: non si sopportano ma sanno di essere uniti dalle proprie debolezze, insieme nella loro solitudine. Per loro la liberazione non sarà tanto mettere in galera il Re Giallo quanto superare le proprie inibizioni. A qualsiasi prezzo. Il premio, alla fine, sarà guardare con occhi diversi il cielo stellato.

20 commenti:

  1. Da neofita hai analizzato alla perfezione la serie, parola di addicted :)
    Come scrissi da me, il mio entusiasmo è un po' minore, perfetta, certo, e con interpretazioni da brividi. Non gli si può non riconoscere una cura tecnica straordinaria, ma gli è mancato quel cuore, quel qualcosa per davvero entrarmi nel mio di cuore. Ciò non toglie che non sia entrata nel cervello, i monologhi di Cohle sono di una profondità davvero inarrivabile.

    Benvenuto nel mondo serial, comunque :)

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    1. Grazie Lisa! Detto da te mi sento sollevato ;)
      Riguardo il cuore, beh su quello c'è poco da fare... il cuore non è razionale, e se non ti prende non ti prende: in effetti non è una serie molto 'femminile' (malgrado la presenza della brava Michelle Monaghan) però vedo che anche te ne riconosci la qualità, vuol dire che non mi ero sbagliato ;)

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  2. Oddio, una recensione davvero bella e accurata, ti faccio i miei complimenti :D
    Comunque, per iniziare a entrare nel magico mondo delle serie tv, non potevi scegliere esempio migliore. Otto episodi magnifici e splendidamente scritti/diretti/interpretati. Manco io ce l'ho fatta a vederne più d due alla volta, mi mettevano un'angoscia tale che, non appena scorrevano i titoli di coda, mi mettevo a guardare fuori dalla finestra con aria sconsolata pensando a che merda fosse la vita - specie con la fine del secondo episodio...
    Comunque Pizzolatto è anche scrittore. Devo assolutamente leggere qualcosa di suo!

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    1. Verissimo. Anch'io avevo le stesse sensazioni alla fine di ogni episodio... sono otto puntate complesse, piene, dure. Vanno metabolizzate.

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  3. Grande recensione per uno dei migliori prodotti offerti nel passato recente dal piccolo schermo.

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    1. Grazie Ford. Sì, lo ripeto: è il miglior prodotto che ho visto finora dall'inizio dell'anno, meglio di qualsiasi altro film distribuito in sala. Altissima classe.

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  4. Io non vedo l'ora sia settembre per vederlo!

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    1. Dai, ormai manca poco... anche se, a dire il vero, ho un po' di timore per come doppieranno Cohle. Ma su Sky gli episodi si possono vedere anche in lingua originale, vero? Spero proprio di sì!

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    2. Molte cose le guardo in lingua originale..magari mi aiuto coi sottotitoli sempre in inglese..( quello che sto facendo ora guardando per la sesta volta django)

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    3. Ottimo. La versione originale è sempre preferibile, e non è vero che i sottotitoli 'distraggono'... è solo questione di abitudine ;)

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  5. Verooooooo!!!! Un giorno vieni a trovarmi a Cagliari !!!

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  6. Assolutamente d'accordo: la miglior cosa vista quest'anno, almeno finora

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  7. Non sono un'appassionata di serie tv, perché la mia soglia di attenzione è bassissima e dopo un po' mi annoio. Ma True Detective non è una serie, è LA serie. E non è possibile non appassionarsi. Io l'ho amata appena è partita la sigla iniziale.
    Gran bella analisi, caro il mio "neofita"! :)

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    1. Grazie! Ma lo sai che anche a me ha preso proprio fin dalla sigla iniziale? E' pazzesca, in pratica già ti fa capire quello che verrà dopo... nulla è lasciato al caso in questa serie, e nessun elogio è mai troppo. Straordinaria.

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  8. Solita recensione impeccabile, personale e completa Sauro.
    Secondo me ci sei andato un pò pesante con Hart che, a mio parere, non è affatto persona dalla brutta anima, solamente troppo fragile e incapace di gestirsi.
    Lui prova amore per la famiglia, lo sento.
    E non si nasconde completamente, anzi, mi pare che ad un certo punto tutto lo schifo che s sente lo dica chiaramente.
    Poi se sia ipocrita o no non lo sappiamo, ma è un uomo come tanti, non un esempio negativo, un uomo che sbaglia.
    Cohle invece che davvero sembra una persona da cui star lontani è veramente un (anti)eroe, nel senso che quell' anti più lo analizzi più ti pare eliminabile.

    Ciao!

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    1. Mah... uno che cerca di scoparsi tutte le puttanelle che gli capitano a tiro secondo me un grande amore per la la famiglia non ce l'ha (poi, per carità, se sono come la D'Addario avrà anche un minimo di giustificazione - commento maschilista ovviamente ironico! :D ). Sarà che voglio essere cinico in linea con tutta la serie, ma mi viene difficile considerare Marty solo come una persona fragile. Che poi si renda conto di fare schifo, questo è un altro discorso...
      Totalmente d'accordo invece su Cohle, individuo tormentato e tormentoso, ma estremamente affascinante!

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    2. Non lo so, forse io mi sono perso qualche passaggio.
      A me era sembrato che avesse avuto "solo" la storia con la D'Addario e 7 anni dopo quella con l'altra ragazza.
      E in 7 anni, con la vita che faceva, con il suo stress e le sue debolezze (non da giustificare, solo da rimarcare) due storie con due top model che gliela sbattevano davanti è una cosa che pochissimi uomini saprebbero resistere.
      Se invece la sua era un'abitudine o comunque una cosa che cercava lui in tutti i modi c'è poco da dire.
      In queste cose le sfumature son tante

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    3. Anche questo è vero... però in realtà poco sappiamo della vita passata di Marty. Logicamente i riflettori sono tutti puntati su Cohle. Ad ogni modo ognuno coglie le sfumature in base alle proprie sensazioni, e quindi non c'è una risposta giusta e una sbagliata ;)

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