giovedì 3 luglio 2014

WELCOME TO NEW YORK

(id.)
di Abel Ferrara (Usa, 2014)
con Gerard Depardieu, Jacqueline Bisset, Drena De Niro, Paul Calderon, Amy Ferguson
durata: 124 min.


A volte, si dice, la miseria aguzza l'ingegno. E in questo caso è un bene: Abel Ferrara è un ex-cineasta di culto che, ormai è chiaro, difficilmente tornerà a rinverdire i fasti de Il cattivo tenente e Fratelli. Altri tempi e altra verve per il regista newyorchese, che comunque fa di necessità virtù: dopo il tonfo clamoroso (d'incassi e di critica) dell'imbarazzante 4:44 Last day on Earth, (spernacchiato a Venezia e mai uscito in Italia), ha accettato di buon grado di dirigere questo instant-movie su uno dei casi più scabrosi e chiacchierati del decennio: Welcome to New York è infatti ispirato alla vicenda dell'economista francese Dominique Strauss-Kahn, arrestato per violenza sessuale a danno di una cameriera nel maggio 2011, proprio durante un soggiorno d'affari nella Grande Mela. Ferrara ha girato il film in due settimane, con un budget ridotto all'osso e senza neppure una distribuzione cinematografica (il film è uscito in in tutto il mondo direttamente su internet). Ne è venuta fuori una pellicola discontinua, imperfetta, ma anche innegabilmente interessante e inattesa, molto spontanea e diretta, che non giudica nè vuole giudicare ma esprime coraggiosamente i fatti compiuti, lasciandoci una visione del tutto personale.

Non sappiamo infatti se il film racconti la verità, e soprattutto quale verità: per la cronaca, Strauss-Kahn fu rilasciato quasi subito e assolto dopo pochissimi giorni da ogni accusa penale, mentre patteggiò un risarcimento economico con la sua accusatrice. La sua carriera politica però ne uscì a pezzi: membro del Partito Socialista Francese, Strauss-Kahn era considerato il candidato per eccellenza della gauche all'Eliseo. Costretto a dimettersi dopo lo scandalo, venne sostituito da Françoise Hollande che poi avrebbe vinto le elezioni. Il dubbio rimane: fu una clamorosa stupidata compiuta da un uomo potente (e che si credeva onni-potente) oppure una clamorosa trappola ordita dai suoi oscuri nemici? Probabilmente non lo sapremo mai, ma a Ferrara questo non interessa più di tanto: lo scopo del suo film è tutt'altro, quello di indagare sulla personalità di un uomo ricco, famoso, viziato, mai contraddetto ma solo adulato (per interesse), che proprio in virtù di questo non riesce a sopraffare i suoi istinti animaleschi e la sua depravazione, da tutti sottaciuta (se non incoraggiata) e perciò terribilmente genuina, naturale.

Deveraux (questo il nome del protagonista nella finzione) non è un uomo abituato a obbedire. Dalla sua posizione controlla i destini economici del mondo e tutti strisciano ai suoi piedi. Il suo tallone d'achille è la totale dipendenza dal sesso, in ogni forma e quantità. E' un uomo divorato dalla propria voracità sessuale, irrefrenabile e famelica, un uomo in grado di controllare il pianeta e che non riesce invece a controllare se stesso: lo interpreta Gerard Depardieu, con una performance in tutti i sensi 'debordante'... talvolta comica (purtroppo involontariamente), in special modo nelle scene erotiche nelle quali si denuda e grugnisce, sbuffa, ansima, mostrando il suo corpo sfatto e indisponente. Talvolta invece da attore vero, della sua portata, capace di esprimere più che efficacemente la deriva morale e privata di un individuo talmente laido ed egocentrico da non accorgersi neppure delle (poche) persone che ancora credono in lui: molto pregnante e significativa, in tal senso, la figura della moglie (una splendida Jacqueline Bisset) che Deveraux continua a violentare psicologicamente, e che malgrado tutto continuerà a stargli vicino anche nei giorni della bufera.

Welcome to New York è, a suo modo, un film nichilista: Deveraux è l'emblema della disillusione, del crollo di quei valori etici e morali che appaiono ormai lontanissimi, irrecuperabili. L'ultimo Abel Ferrara non crede più nella salvezza, nella redenzione, negli ideali: il suo cinema è forse involuto, meno graffiante rispetto agli esordi, ma è cinico e onesto nella sua visione del mondo. Di questo dobbiamo rendergliene merito.

5 commenti:

  1. infatti è già organizzata la visione, al prossimo giro ^_^

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    1. Aspetto il tuo commento, Arwen!

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    2. ovviamente, ti faccio un fischio su facebook appena faccio la rece xD

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  2. L'ho apprezzato moltissimo. Su una cosa siamo tutti d'accordo: Ferrara può benissimo ambire al titolo di regista più nichilista di oggi. Su un'altra cosa l'ho vista in maniera diversa: La moglie di Devereux che "crede in lui", da come dici tu, sembra quasi che sia mossa da affetto e comprensione, quando è evidente che l'uomo (malato) è manipolato da essa (e si ribella, appunto, rivendicando la sua malattia, quindi la sua identità), il che secondo me riscatta (parzialmente) la figura di Devereux. Poi il film mi ha affascinato per come gioca col mezzo filmico (l'intervista all'inizio in cui non si capisce se Depardieu stia interpretando una parte o sè stesso; il momento in cui Depardieu si sfoga guardando in camera, rompendo il velo di finzione, ecc.).

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    1. Ciao Stefano! Mi sa che c'hai ragione... sai che in effetti mi accorgo di aver sottovalutato molto la mini-intervista iniziale all'uomo-Depardieu? Non ne ho neppure parlato nella recensione, ma certo appare parecchio ambigua: sta recitando o si sta confessando? Depardieu negli ultimi tempi ha avuto parecchi problemi con la politica (e la giustizia) francese, e quel piccolo prologo si presta a svariate interpretazioni... ottima osservazione!

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