mercoledì 31 ottobre 2012

JODIE 50 - I FILM - A CASA PER LE VACANZE

I festeggiamenti per la 'nostra' Jodie stanno per giungere al loro culmine: il prossimo 19 novembre sarà un giorno speciale, ovvero il suo 50. compleanno! Ma noi abbiamo cominciato da tempo a renderle omaggio, riscoprendola con i suoi film più belli, uno ogni mese. Ma Jodie, per chi ancora non lo sapesse, ha dato il meglio di sè anche dietro la macchina da presa. E questo delizioso film che recensiamo qui sotto ne è la prova. L'ennesimo esempio di versatilità di una attrice/regista/donna straordinaria: l'abbiamo vista crescere (letteralmente) dietro la cinepresa, l'abbiamo ammirata in ruoli sempre diversi a seconda delle stagioni della sua (e nostra) vita, l'abbiamo seguita in ogni sua trasformazione artistica. Sì, Jodie Foster ci piace parecchio, non l'abbiamo mai nascosto... non sarà una 'moral guidance' (come ha fatto con Clint Eastwood il settimanale FilmTv), ma per noi rappresenta la bravura, la professionalità, l'incarnazione per un lavoro che fin da subito le è entrato dentro. E noi la ricordiamo con i suoi film, che ci hanno accompagnato per mano. Crescendo insieme a lei.

A casa per le vacanze (id., USA 1995) di Jodie Foster
 

La festa è quella del Ringraziamento, ma per noi cambia poco... i riti sono gli stessi e pure le situazioni. Ogni anno con l'approssimarsi del Natale mi viene spontaneo rivedere questo film spassosissimo e malinconico, opera seconda da regista di Jodie Foster. Una commedia dolceamara, imperniata sul tema della famiglia, sempre caro alla regista e con ovvi riferimenti alla propria situazione personale: la Foster, come si sa, non ha mai avuto una famiglia 'normale', e il messaggio del film è chiaro: la famiglia, per quanto strampalata, oppresiva, soffocante, improbabile che sia, è sempre la famiglia, e i legami di sangue sono più forti di ogni altra cosa. Malgrado, davvero, tutto quello che può succedere nel Pranzo del Thanksgiving!

Il film è infatti la cronaca di una 'giornata' particolare: quella di Claudia, ragazza-madre trentenne che torna a casa dai suoi genitori per il giorno del Ringraziamento. Le cose non le vanno necessariamente benissimo: è raffreddata e malaticcia, ha appena perso il lavoro, la figlia adolescente è rimasta a casa da sola col chiaro intento di perdere la verginità in quel weekend, la aspetta una riunione di famiglia che somiglia davvero a un incubo: ritroverà la madre conformista e iper-protettiva, il padre malinconico e bonaccione, una zia arteriosclerotica e fuori di testa, il fratello gay e 'destabilizzante', la sorella e il cognato (con tanto di nipote) convinti di essere l'unica coppia 'normale' in un 'universo' del genere... aggiungete poi un vicino triste e sfigato, da sempre innamorato (e mai ricambiato) di lei, una compagna di scuola oca e antipaticissima che è riuscita a sposare l'uomo giusto', il tacchino d'ordinanza che non vuol saperne di farsi affettare e, per contrappasso, i 'lunghi coltelli' che si affileranno man mano che procede la 'reunion'...



In pratica, c'è di tutto e di più per impazzire: ma Claudia (una strepitosa Holly Hunter, evidente alter-ego della regista) sa bene che non può farne a meno. Perchè come dice la stessa Foster 'stare in famiglia è come stare in ascensore con gente con cui non si ha niente da spartire. Ti fa sentire a disagio ma ci devi stare, perchè in quel momento non hai nessuno fuorchè loro'.
Il film deve molto alle commedie di Woody Allen (le analogie con Interiors sono evidenti), e ha un andamento di pari passo con la tradizione dei 'pranzi d'occasione': scoppiettante, divertentissimo, acido nella prima parte, si fa sempre più delicato e malinconico man mano che avanzano le portate in tavola. E il finale, con gli animi finalmente sereni dopo la 'bufera', con padre e figlia da soli che riguardano i filmini dell'infanzia, strappa più di qualche lacrima.


Insomma: un piccolo gioiello, impreziosito da un manipolo di attori 'stagionati' e straordinari: oltre alla Hunter troviamo Anne Bancroft, Geraldine Chaplin, Charles Durning, Robert Downey jr. (forse nella sua migliore interpretazione). E' un vero peccato che una pellicola così carina sia praticamente introvabile in Italia: uscita all'epoca in vhs non è mai stata riversata in dvd e non esiste una versione in commercio. La si trova solo on-line d'importazione (in lingua originale senza sottotitoli) oppure bisogna aspettare qualche raro passaggio televisivo.
In tal caso non lasciatevelo scappare!

domenica 28 ottobre 2012

IO E TE

(id.)
di Bernardo Bertolucci (Italia, 2012)
con Jacopo Olmo Antinori, Tea Falco, Sonia Bergamasco
VOTO: ****/5

Ci si può innamorare di un film anche solo per una scena? Siamo forse troppo deferenti nei confronti di un grande Maestro del cinema nazionale, che torna sul set dopo dieci anni e una brutta malattia invalidante? La risposta alla seconda domanda la lascio a voi, dopo aver letto queste righe e possibilmente dopo aver visto il film. Alla prima invece rispondo con un sì deciso: sì, ci sono scene che possono travolgerti per passione, emozioni e commozione, e che da sole valgono il prezzo del biglietto. E nella lunghissima carriera di Bernardo Bertolucci entrerà di diritto tra le più belle l'ormai famosissima sequenza del 'ballo' tra i due giovani protagonisti di Io e te, sulle straordinarie note e sulla magnetica voce di David Bowie, che canta in italiano (!) la sua Space Oddity, riscritta da Mogol e perfettamente ribattezzata Ragazzo solo, Ragazza sola: godetevela nel link in fondo a questa recensione.

E' incredibile, per ammissione dello stesso Bertolucci, come già nel 1970 il più grande paroliere italiano avesse in qualche modo 'anticipato' i temi e le situazioni del film, e di conseguenza anche il romanzo di Niccolò Ammanniti dal quale è tratto: due ragazzi adolescenti soli, problematici, impetuosi, che si sciolgono in un ballo liberatorio e urlano la loro voglia di 'esserci' alle pareti della cantina in cui si sono auto-reclusi... è una scena di una bellezza 'esagerata', che toglie il fiato per delicatezza e vitalità e che ti fa versare lacrime sincere e contagiose: è impossibile non commuoversi di fronte a tanta grazia, ad un modo così bello di rispondere al dolore...

Jacopo Olmo Antinori e Tea Falco
A quasi due lustri da The Dreamers, Bernardo Bertolucci  torna a girare un film i cui protagonisti sono ancora dei ragazzi che vivono ai margini della società: Lorenzo è un quattordicenne sociopatico che trova rifugio solo nella solitudine, e che finge di partire per la settimana bianca organizzata della scuola per rinchiudersi in realtà nel sottoscala del suo palazzo, con il suo computer e i suoi libri horror, lontano da quel mondo che odia. Ma i suoi progetti verranno scombinati dall'improvviso arrivo della sorellastra eroinomane, Olivia, in cerca di un luogo dove passare la notte e sopportare le crisi d'astinenza. Lorenzo è taciturno, schivo, non sopporta i compagni di classe e le persone in generale. Olivia è più grande, disinibita, travolgente ma drammaticamente incasinata: eppure sarà lei ad aprire gli occhi al fratello, spronandolo a mettere il naso fuori di casa e a convincerlo che anche lui, come tutti, merita di avere un posto nel mondo. Come in The Dreamers era un sasso gettato da fuori che spaccava i vetri dell'appartamento e riconduceva i suoi inquilini alla vita reale, in Io e te lo stesso compito è riservato a Olivia, la quale obbligherà il fratello a crescere in fretta.

Tea Falco
Tocca a voi scegliere il modo di giudicare Io e te: se lo farete col cervello, probabilmente non vi piacerà. E' un film incompiuto, non certo originale, perfino banalotto dal punto di vista narrativo. Ma capace di sprigionare emozioni incontrollabili, fatte di dolcezza e genuinità: se siete persone sensibili, inevitabilmente vi commuoverete con questo piccolo lungometraggio di soli 97 minuti, girato in economia da un signore settantenne su una sedia a rotelle, eppure capace di colpirvi al cuore: è un film che parla della solitudine più nera, e di come una persona sola provi a combatterla trovando il coraggio e la volontà di stare insieme ad un'altra che è totalmente diversa, opposta e lontana da essa, per carattere e modo di vivere.

Bravissimi i due attori principali: Jacopo Olmo Antinori ha la faccia che ricorda il Malcom McDowell di Arancia Meccanica e il da tipico ghigno adolescente 'incazzato'. Tea Falco è bellissima, sanguigna, diretta, perfetta per il suo ruolo. Assolutamente da collezionare la splendida colonna sonora, scelta (a parte la canzone di Bowie) addirittura dal giovane protagonista in persona: dai Muse, ai Cure, agli Arcade Fire, passando per i Red Hot Chili Peppers: complimenti per i gusti!


giovedì 25 ottobre 2012

ON THE ROAD

(id.)
di Walter Salles (USA, 2012)
con Sam Riley, Garrett Hedlund, Kristen Stewart, Kirsten Dunst, Tom Sturridge, Viggo Mortensen
VOTO:**/5

"Il mito diventa film" sta scritto sulla locandina di On the road, ed è vero: esistono pochi libri al mondo così 'mitici' come il romanzo di Jack Kerouac. Sono quei libri che ognuno di noi ha sul comodino e che ci hanno fatto compagnia durante la nostra adolescenza. Ma rispondetemi sinceramente: se doveste cimentarvi oggi, per la prima volta, nella lettura di On the road, che cosa ne pensereste? Vi catturerebbe esattamente come venti, trent'anni fa? Oppure lo trovereste irrimediabilmente datato?

Per quanto mi riguarda, propendo più per la seconda ipotesi. Il motivo è semplice: On the road è un libro che è rimasto prigioniero del suo tempo, che è diventato 'mitico' più per quello che raccontava che per come lo raccontava... è un libro che è figlio della sua epoca e che non riesce a 'vivere' al di fuori da essa, perchè se il suo contenuto ai tempi poteva apparire dirompente e rivoluzionario (anzi, sicuramente lo era), leggere oggi di quelle cose ci fa semplicemente sorridere. On the road, a mio modestissimo parere, sta alla letteratura come Easy rider sta al cinema: sono opere mediocri che hanno acquistato un'aura 'mitica' perchè sono stati scritti (o girati) al momento giusto, ma che per contrappasso sono rimasti prigionieri del loro tempo.

Sam Riley e Garrett Hedlund
Per questo è inutile prendersela con il povero Walter Salles, regista di talento (non dimentichiamo che sono suoi Central do Brasil e I diari della motocicletta) cui è stata commissionata un'impresa persa in partenza: far rivivere in questi tempi di progresso e di crisi l'epoca della beat generation attraverso le immagini. E' ovvio che è impossibile, ed è perciò sbagliato gettare la croce addosso a un film che, tutto sommato, non poi così brutto nè 'blasfemo' nei confronti del romanzo: gli è semplicemente molto fedele, e quindi ne assorbe tutti i difetti di cui abbiamo appena parlato.

Sam Riley e Kirsten Dunst
On the road arriva oggi clamorosamente in ritardo, perchè racconta di un contesto storico e culturale che ormai è oggettivamente superato dagli eventi: nell'epoca dell'alta velocità, di internet, della Ryanair, del digitale, del sesso che ormai è 'routine' e non più 'ribellione'... le immagini che ci scorrono davanti agli occhi ci fanno lo stesso effetto del vino annacquato: non hanno più forza, non hanno più 'anima', non ci coinvolgono perchè non ci interessano più.

Kristen Stewart
A poco valgono gli sforzi degli attori, che ci mettono tutto il loro impegno: a cominciare dai protagonisti Sam Riley e Garrett Hedlund (nei panni rispettivamente di Sal Paradise e Dean Moriarty), alla criticatissima Kristen Stewart, sempre vittima dei pregiudizi 'vampireschi' che la accompagnano, e che invece non se la cava neanche malaccio nel ruolo della libertina Marylou, alla sempre brava Kirsten Dunst (che interpreta Camille) ai 'camei' di Viggo Mortensen (Old Bull Lee), Tom Sturridge (Carlo), Amy Adams, Terrence Howard...  il film scorre via lento e uniforme, tra paesaggi seppiati, musica d'atmosfera, costumi d'annata e amplessi selvaggi, ma è perfettamente inutile trovare un solo momento 'epico', un sussulto di originalità.

Viviamo in un'epoca dove ormai ci siamo assuefatti a tutto, dove non ci stupiamo più di niente e siamo anestetizzati alle emozioni. Niente ci sorprende più, figuriamoci un romanzo e un film che sono rimasti indissolubilmente cristallizzati ai loro anni. Il cinema vuole storie universali e trame forti, anche quando si tratta di trasporre grandi classici della letteratura: tra qualche mese Baz Luhrmann ci svelerà (finalmente!) la sua versione de Il Grande Gatsby, che attendiamo spasmodicamente: il romanzo di Francis Scott Fitzgerald  è ormai quasi centenario ma, a differenza di On the road, la sua forza, il suo stile e il suo messaggio sono più attuali che mai. E' un libro senza tempo. E per un regista, partire da una base così è un già un bel vantaggio...

domenica 21 ottobre 2012

IL COMANDANTE E LA CICOGNA

(id.)
di Silvio Soldini (Italia/Svizzera, 2012)
con Valerio Mastandrea, Alba Rohrwacher, Giuseppe Battiston, Luca Dirodi, Serena Pinto, Claudia Gerini
VOTO: ***/5

Se è vero che tre indizi fanno una prova, allora non possiamo più dubitare che il cinema italiano cominci a prendere coscienza dello stato delle cose del Belpaese. E le cose non vanno affatto bene, lo sappiamo: c'è la corruzione nella politica, ci sono le ingiustizie sociali, ci sono i raccomandati sul posto di lavoro, c'è soprattutto un distacco clamoroso tra chi ancora, coraggiosamente, cerca di far emergere la cultura e la speranza di un futuro migliore e la stragrande maggioranza della popolazione che è ormai rassegnata e anestetizzata al cambiamento. Ce lo ha detto per primo Matteo Garrone, con la poesia e la dolcezza del suo bellissimo Reality. Lo ha ribadito Paolo Virzì, con l'ironia e la comicità garbata di Tutti i santi giorni, e adesso arriva anche Silvio Soldini: che dice le stesse cose, ma in un altro modo ancora...

L'idea di Soldini è bellissima: avete presente le statue dei grandi personaggi della nostra storia? Ce ne sono in ogni piazza e in ogni strada delle nostre città: e chissà cosa direbbero oggi i vari Garibaldi, Verdi, Leopardi, Dante, se potessero vedere (assistendone inerti) il degrado sociale che si consuma sotto i loro occhi? E allora ecco che all'Eroe dei Due Mondi (il 'comandante' del titolo) si stringe il cuore nel sentire i discorsi razzisti del leghista Cazzaniga, mentre i Sommi Scrittori si stracciano le vesti nel constatare l'imbarbarimento culturale e civico del nostro popolo.

Valerio Mastandrea e Claudia Gerini
In questa Italietta da quattro soldi le vite di due anime candide, Leone (Valerio Mastandrea) e Diana (Alba Rohrwacher) si incrociano per caso, in un universo costellato da squali sotto le sembianze di avvocati senza scrupoli (Luca Zingaretti) e di politici corrotti che non adempiono ai loro obblighi. Leone è vedovo (ma la moglie, Claudia Gerini, gli appare in sogno ogni notte) con due figli adolescenti da mantenere e un lavoro da idraulico che gli dà ben poche soddisfazioni. Diana è una pittrice timidissima e squattrinata, disposta ad accettare qualsiasi commissione (anche rinnegando la propria creatività) per pagare l'affitto al burbero e letterato padrone di casa (Giuseppe Battiston). Sono tutte persone 'diverse', pensanti, sincere, VERE. Che fanno fatica a sopravvivere nell'Italia di oggi, ormai sorda e ingrata verso chi cerca di (soprav)vivere onestamente.

Luca Zingaretti e Alba Rohrwacher
Giuseppe Battiston
Il comandante e la cicogna è una divertente favola moderna, che si fa apprezzare in particolar modo per le ottime prestazioni degli attori protagonisti, tutti bravissimi. E pazienza se certi passaggi sono un po' troppo stereotipati e fin troppo banali (soprattutto i 'discorsi' delle statue parlanti): quello che conta è l'atmosfera surreale, rilassata ma con i piedi comunque ben piantati per terra, che però non ci impedisce di vedere una luce in fondo al tunnel. E' questo il significato della cicogna: questo bellissimo animale rappresenta la speranza e la voglia di un paese migliore, da mettere in mano ai giovani come Elia (il figlio di Leone): forse un po' stralunati, magari ingenui, ma certamente migliori di noi.  

sabato 13 ottobre 2012

TUTTI I SANTI GIORNI

(id.)
di Paolo Virzì (Italia, 2012)
con Luca Marinelli, Federica Vittoria Caiozzo (Thony), Micol Azzurro
VOTO: ***/5

L'amore al tempo della crisi ce lo racconta Paolo Virzì: la storia di due trentenni, Guido e Antonia, è a suo modo emblematica del nostro tempo. Lui fa il portiere di notte in un albergo della Capitale, lei l'impiegata in un autonoleggio della Stazione Termini. Entrambi vivono in affitto ad Acilia, ben oltre il raccordo, e le loro vite combaciano fisicamente solo per una manciata di minuti al mattino: lui rientra, le prepara la colazione e la sveglia con citazioni colte. Lei lo stringe a sè, fanno l'amore, e poi parte in motorino per recarsi a lavoro. Tutti i santi giorni, da quando stanno insieme. Ad interrompere la routine c'è solo il disperato tentativo di procreare, sperimentando tutti i modi possibili per far nascere quel figlio che non arriva mai...

Dopo il mieloso La prima cosa bella, Virzì torna a dirigere una commedia intensa, che ha come protagonisti due semplici ragazzi di oggi, che sudano per sbarcare il lunario e hanno entrambi parzialmente rinunciato ai loro sogni: Guido, toscano di buona famiglia, letterato, appassionato di storia, ha rifiutato una cattedra in America in cambio di un lavoro tranquillo e sicuro. Antonia, siciliana, è una brava cantante 'indie' che si è 'normalizzata' accettando un impiego che le consente un'entrata fissa. I due però non sono infelici, benchè consapevoli della loro condizione: accettano la realtà in nome del loro amore, anche perchè forse non sanno nemmeno che cosa siano il benessere e la stabilità economica, che non hanno mai provato. Ciò che li unisce è il loro forte sentimento comune, che sarà messo a dura prova dall'impossibilità di generare un erede...

Tutti i santi giorni  è un titolo importante nella carriera del regista livornese, perchè lo riporta (speriamo definitivamente) sulla 'retta via', dopo lo stucchevole buonismo del film precedente. E malgrado alcune imperfezioni ormai congenite (vedi la caratterizzazione fin troppo forte dei personaggi principali, in particolar modo Guido, ai limiti dello stereotipo: il classico timidone impacciato e coltissimo che fa innamorare all'istante la musicista 'alternativa' e spregiudicata, ma quando mai?) riesce a restituirci una trama credibile e nel quale ogni spettatore può immedesimarsi, grazie anche alle performance dei due bravi attori principali: Luca Marinelli (lo ricordate ne La solitudine dei numeri primi?) e Thony, cantante 'vera' scoperta da Virzì via internet e subito arruolata. Ottime scelte.

Ma aldilà della vicenda strettamente privata dei due protagonisti, la cosa che più ci è piaciuta di Tutti i santi giorni è il modo in cui Virzì punta lo sguardo verso uno stile di vita, purtroppo tutto italiano, drammaticamente sempre più attuale: Guido e Antonia sono una coppia 'vera', istruita, intelligente, che è quasi una mosca bianca in un mare di volgarità e grettezza: sono due belle persone che si muovono in un contesto sociale fatto di ignoranza, intolleranza, superficialità. Il ritratto dei vicini di casa, tipica famiglia 'coatta' della periferia romana, che invita i due giovani a casa loro per vedere la partita e cantare 'Grazie Roma', è tristemente validissimo. Guido e Antonia sono due 'alieni' in una società che a malapena li sopporta. E ogni parallelo con Reality di Garrone non è certo campato per aria...  

mercoledì 10 ottobre 2012

KILLER JOE

(id.)
di William Friedkin (USA, 2011)
con Emile Hirsch, Matthew McConaughey, Gina Gershon, Juno Temple, Thomas Haden Church
VOTO: ***/5

Misteri della distribuzione italiana: Killer Joe esce soltanto adesso dopo essere stato in concorso a Venezia 2011, a oltre un anno di distanza. Stessa sorte (anzi, peggio) dell'ultimo film di Alex de La Iglesia, ovvero Ballata dell'odio e dell'amore, presentato a Venezia 2010 (!) e annunciato in uscita per il prossimo 8 novembre: speriamo... e sempre meglio, comunque, del bellissimo Life without principle di Johnnie To, anch'esso in concorso al Lido la scorsa stagione e tuttora 'disperso' nel listino della Fandango:  viene da chiedersi per quale imperscrutabile motivo i nostri distributori comprino i diritti di questi film per poi lasciarli cadere nel dimenticatoio e ritirarli fuori dai cassetti nell'indifferenza più generale. Mah.

Meglio evitare polemiche e concentrarsi sul film e basta. E allora parliamo di questo Killer Joe, ultima opera dell'arzillo 77enne William Friedkin, decano del gangster-movie a stelle e strisce (ricordiamo che sono suoi capolavori del genere come Il braccio violento della legge e Vivere e morire a Los Angeles) e ultimamente dedicatosi più che altro... alla lirica. Proprio così! Da sempre appassionato di opera, negli ultimi anni Friedkin ha curato gli allestimenti teatrali di spettacoli come l'Aida e Salome, rappresentati in tutto il mondo. Ebbene, l'anno scorso il regista americano è rimasto a lungo in Italia (a Firenze, per la precisione) per dirigere L'affare Makropoulos, e le malelingue dicono che Marco Muller, alla sua ultima direzione artistica della Mostra del Cinema, lo abbia 'convinto' a girare nei ritagli di tempo un film da portare al Lido...

Così (pare) sia nato Killer Joe, che in effetti assomiglia molto ad un allegro 'divertissement', concepito quasi come un passatempo e volutamente impossibile da prendere sul serio: Friedkin infatti abbandona la drammaticità e la tensione per buttarla sul nonsense, realizzando un poliziesco strampalato e 'caciarone', grottesco ma divertentissimo, con personaggi che ricordano molto quelli 'tarantiniani', nel senso che non ce n'è uno che abbia tutte le rotelle al loro posto: a cominciare proprio da Killer Joe, un poliziotto 'sui generis' che per arrotondare lo stipendio si diletta nel tempo libero a fare il sicario... Costui (un Matthew McCounaughey insolitamente bravo) riceve un'offerta da una famiglia di balordi per uccidere l'ex-moglie del patriarca e riscuotere i soldi dell'assicurazione sulla vita.

Naturalmente niente andrà come deve andare: Killer Joe esegue diligentemente il suo compito, ma riscuotere il denaro si rivelerà ben più difficile del previsto. E allora il nostro, da buon 'professionista', in attesa di ricevere i suoi soldi mette le mani (in tutti i sensi) sul 'deposito cauzionale', rappresentato dalla figlia minore del mandatario: una biondina decerebrata ma indubbiamente carinissima...

Aldilà dell'aspetto goliardico, il film è un'amara istantanea sull'America dei bassifondi, delle roulottes trasformate in case, della gente ignorante e senza speranza che ormai è parte cospicua della popolazione americana (e non solo, purtroppo). Friedkin si è sicuramente divertito molto a girarlo, ma il suo sguardo feroce, sarcastico e inevitabilmente pessimista sulla società moderna (principalmente a stelle e strisce) è evidente e intatto.

domenica 7 ottobre 2012

UN GIORNO SPECIALE

(id.)
di Francesca Comencini (Italia, 2012)
con Giulia Valentini, Filippo Scicchitano
VOTO: */5

Forse il miglior giudizio l'ha dato il pubblico degli addetti ai lavori presente alla proiezione per la stampa veneziana (alla quale si era 'infiltrato' anche il sottoscritto): non un applauso, non un fischio, ma solo un silenzio totale, glaciale, imbarazzante. Indifferenza assoluta per un film di una banalità sconcertante, dal taglio della peggior fiction televisiva, e sul quale l'unica riflessione che mi sento di fare è: come è possibile selezionare per il Concorso principale un titolo del genere? E soprattutto: perchè alle famigerate sorelle Comencini (l'anno scorso Cristina, quest'anno Francesca) un posto al Lido lo si trova sempre?

Sia chiaro, a me di questa mediocre coppia di registe non me ne frega una beata cippa. Possono continuare a girare tutti i film che vogliono, se glieli lasciano fare. Però non sopporto il fatto che schifezze come questa , oltre a rappresentare indegnamente l'Italia nei concorsi internazionali, venga dato un risalto mediatico spropositato a scapito di titoli ben più interessanti ma relegati in sezioni minori solo in virtù della scarsa notorietà dei loro registi. Chi era al Lido quest'anno non potrà non convenire che film come L'intervallo di Leonardo di Costanzo o Bellas Mariposas di Salvatore Mereu, e perfino l'onesto Acciaio di Stefano Mordini erano comunque infinitamente più interessanti di Un giorno speciale. Magari non da Leone d'Oro ma certamente più meritevoli di stare in concorso.

Ma perchè Un giorno speciale è così brutto? Semplice: perchè è un film stanco e già visto, insopportabilmente qualunquista e ruffiano, girato in fretta e furia per sfruttare il momento e che non ci dice assolutamente niente di nuovo. E' la storia due ragazzi giovanissimi, tanto teneri e tanto belli (specialmente lei) che vogliono trovare un lavoro. Sono innocenti, idealisti, illusi, e la loro storia sembra quella di Cenerentola: peccato soltanto che Lei, malgrado i rimorsi di coscienza iniziali degni di Santa Maria Goretti, alla fine non ci pensi nemmeno lontanamente a rinunciare ad andare a trovare il Politico di turno che potrebbe garantirgli un posto da velina (e ci va vestita esattamente come uno si aspetta che ci vada... non dico altro), mentre Lui non si fa scrupoli ad ammettere che quell'agognato posto da autista lo deve a un prete tanto amico della mamma...

Insomma, l'Italia di oggi. Giovani, carini e raccomandati. Con tanto di pistolotto morale e il solito, ovvio, stucchevole affondo verso la classe politica che ci governa. Facile, cara Comencini, fare un film così in questo periodo! Per non farti mancare nulla ci hai infilato perfino il viscido Onorevole che, dopo una lunga giornata di lavoro, non aspetta altro che farsi fare una fellatio dalla giovane aspirante attricetta... che trovata originale, dopo tutto il martellamento del bunga-bunga! In questo modo l'applauso è assicurato e la partecipazione al Lido anche! Del resto il tuo film è proprio come l'italiano medio (quello mirabilmente rappresentato da Garrone in Reality): piatto, scontato, facile, incapace di pestare i piedi a qualcuno pur volendo fare esattamente l'opposto.

venerdì 5 ottobre 2012

JODIE 50 - I FILM - CONTACT

Continuiamo a festeggiare la 'nostra' Jodie: il suo compleanno sarà il 19 novembre, ma noi abbiamo cominciato da tempo a renderle omaggio, con un film al mese. Perchè Jodie Foster, al traguardo del mezzo secolo, è l'attrice 'moderna' che a nostro modestissimo parere ha meglio omaggiato il Cinema in tutti i suoi aspetti: l'abbiamo vista crescere (letteralmente) dietro la macchina da presa, l'abbiamo ammirata in ruoli sempre diversi a seconda delle stagioni della sua (e nostra) vita, l'abbiamo seguita in ogni sua trasformazione artistica. Sì, Jodie ci piace parecchio, non l'abbiamo mai nascosto... non sarà una 'moral guidance' (come ha fatto con Clint Eastwood il settimanale FilmTv), ma per noi rappresenta la bravura, la professionalità, l'incarnazione per un lavoro che fin da subito le è entrato dentro. Jodie è una perfetta 'macchina per recitare'. E noi la ricordiamo con i suoi film, che ci hanno accompagnato per mano. Crescendo insieme a lei.

CONTACT (id., 1997) di Robert Zemeckis



Quando nell'ormai lontano 1997 a Robert Zemeckis fu commissionata la regia di Contact, tratto dal libro-bestseller dello scienziato francese Carl Sagan, credo che nemmeno lui stesso riuscì ad intuire l'enorme portata di quest'opera, che oggi possiamo annoverare come uno dei pochi veri "cult" della fantascienza di fine secolo.

Contact è un film complesso, stratificato, che mette molta carne al fuoco e paga anch'esso (come tutti i film commerciali!) un prezzo all'industria hollywoodiana, vedi la presenza - non troppo necessaria - dell'aitante Matthew McCounaughey, eppure resta, a mio modestissimo parere, una pietra miliare della fantascienza "adulta", degno epigono (e non me ne frega di apparire blasfemo!) di 2001: odissea nello spazio, di cui può apparire come la versione "attualizzata" ai giorni nostri, aggiornata alla società moderna e multietnica di oggi (con tutti i problemi e le opportunità che ne conseguono).

La trama è nota: Ellie Arroway, una giovane scienziata determinata e idealista (e soprattutto atea), riesce a captare un messaggio alieno proveniente dalla stella Vega, che sembra contenere una richiesta di aiuto. Nel messaggio sono contenute le istruzioni per costruire una specie di macchina del tempo, che dovrà servire a trasportare un passeggero a cui sarà affidato il compito del sospirato "contatto". Ovvio che toccherà proprio ad Ellie salire sulla navetta, che la porterà a compiere il più straordinario viaggio della sua vita...

E' ovviamente superfluo specificare che Ellie Arroway è interpretata dalla nostra cara, immensa, superlativa Jodie Foster, qui nel ruolo più bello e sentito della sua straordinaria carriera: una donna sola, colta, tenace, testarda, intrepida, che si muove con le proprie gambe in un mondo pieno di pregiudizi e prevaricazioni, sola contro tutti, con l'unica forza delle proprie convinzioni. Un ruolo tagliato su misura per questa attrice poliedrica e bellissima, che rispecchia in modo lampante la sua carriera e la sua vita.

Contact affronta tematiche complesse e delicate quali il rapporto tra scienza e religione (chi dovrà essere il "messaggero" terrestre? L'atea Ellie o un un uomo credente e devoto?), le implicazioni politiche e sociologiche (quale nazione dovrà costruire la navetta? saranno fondi pubblici o privati?), le mille problematiche di una società multirazziale che dovrà collaborare per rappresentare unitariamente l'intero pianeta al cospetto degli alieni. Eppure, nonostante tutto ciò, Contact è un film incredibilmente poetico, romantico, sognatore, che prende per mano lo spettatore e lo conduce fino ai confini dell'immaginario umano: noi vediamo con gli occhi di Ellie e, soprattutto, ascoltiamo attraverso di lei le mille sensazioni della sua incredibile avventura, e come lei ci poniamo le stesse domande che sono alla base del film: siamo soli nell'Universo? Potremmo mai incontrarci con qualcuno? Saremo pronti a farlo? Come ci porremo di fronte a "loro"? Le risposte stanno tutte negli occhi di Ellie, in quelle pupille avide di conoscenza che sin dalla primissima scena ci fanno capire "da che parte stanno": in uno degli incipit più belli della storia del cinema ci accorgiamo di quanto siamo piccoli, sperduti e insignificanti al cospetto della Galassia... e allora come potremmo pensare di essere soli? Del resto "Un Universo così grande solo per noi... sarebbe un'enorme spreco di spazio!"

giovedì 4 ottobre 2012

QUELLI DEL... GIOVEDI

La Rivoluzione è cominciata: dunque, da oggi 4 ottobre 2012 il Giovedì sarà il nuovo Giorno del Cinefilo. Sarà in questo giorno, infatti, che d'ora in poi ogni settimana usciranno i film in prima visione, abbandonando la tradizione ormai storica che faceva coincidere la nuova programmazione con l'inizio del weekend, ovvero il venerdi sera.

La decisione è stata presa (non senza qualche scetticismo) dagli esercenti cinematografici, nella speranza di rivitalizzare il giorno più asfittico della settimana (commercialmente parlando) e fare così da 'traino' agli incassi del weekend. Si spera, infatti, che anticipando l'uscita di un giorno gli incassi possano beneficiare del passaparola della gente e della 'voglia' di vedere un titolo atteso.

Sinceramente, la cosa non ci convince molto. Non crediamo che la costante emorragia di spettatori si risolva con questo giochino di facciata, altrimenti sarebbe stato stupido non pensarci prima! Ci vorrebbero ben altre iniziative per riportare il grande pubblico nelle sale, prima fra tutte quella di sensibilizzarlo ed istruirlo, fin dalla tenera età, alla visione in sala e la fruizione dei film nel luogo a loro deputato. Non è affatto vero, infatti, che le nuove generazioni non amino il cinema... semplicemente, se lo godono in altre forme: in tv, nei videonoleggi, in streaming e, purtroppo, con i supporti pirata. Si è persa, insomma, la 'cultura del grande schermo', complici le miopi strategie messe in atto dagli ultimi governi in ambito culturale, contribuendo scientificamente ad aumentare il tasso d'ignoranza del popolo. Ma fermiamoci qui.

Andare al cinema infatti costa. E anche se il cinema è rimasta ormai l'unica forma di spettacolo di livello veramente nazional-popolare e accessibile a tutti, la crisi economica in atto si è fatta sentire anche in questo campo, ed è ovvio che è inutile anticipare di un giorno l'uscita in sala se la gente, comunque, ha gli stessi soldi di prima...

Non solo: il recente proliferare di 'mostri' cinematografici come multiplex e multisale, vale a dire grandi complessi con 15-20 schermi ciascuno, hanno giocoforza fatto sparire le vecchie sale di città, dedite più che altro al cinema d'essai. I multiplex infatti, malgrado molti di essi siano impersonali, anonimi, comunque abbastanza tristi, hanno il vantaggio di essere (quasi) tutti fuori città e offrire allo spettatore ogni tipo di comfort (sala d'attesa, possibilità di portare viveri in sala, parcheggio gratis, prenotazioni on-line). E questa situazione nuoce soprattutto a quella fetta di pubblico principalmente di mezza età, abbastanza 'snob', formatasi culturalmente nei cineforum e che ora non si riconosce più nel megacaos del multiplex. E quindi non ci va, mentre le piccole sale chiudono e il cinema d'essai fa sempre più fatica a imporsi.

Ecco perchè non credo che anticipare l'uscita delle 'prime' sia un'operazione effettivamente utile. Però è anche vero che si tratta di un'operazione a 'costo zero' e che non ha controindicazioni.
Staremo a vedere.

lunedì 1 ottobre 2012

REALITY

(id.)
di Matteo Garrone (Italia, 2012)
con Aniello Arena, Loredana Simioli, Nando Paone, Graziella Marina, Ciro Petrone, Raffaele Ferrante
VOTO: ****

C'è chi dice che Reality arriva nelle sale italiane fuori tempo massimo: un po' perchè è già stato presentato (e premiato) a Cannes, ed eravamo in maggio. Un po' perchè, in senso lato, il Grande Fratello è ormai più storia che presente della nostra televisione, avendo perso da tempo il clamore e l'impatto mediatico delle prime edizioni. La prima opinione è ampiamente condivisibile, in quanto ha poco senso e nessuna logica far uscire una pellicola quattro mesi dopo la trionfale passerella francese, e solo per l'assurda paura dell'estate imminente. La seconda, invece, tutto sommato non dovrebbe nuocere al film, anzi.

Sì, perchè Reality malgrado le apparenze non è affatto un film sul Grande Fratello, e nemmeno sulla nostra televisione. E' un film sulla deriva inconsapevole di una società che basa ormai tutto sull'apparenza, e dove si è disposti a vivere sopra le proprie possibilità pur di ottenere quel 'posto al sole' che, in base alla propria indole, cultura e intelligenza, può essere rappresentato anche dal solo desiderio di stare al centro dell'attenzione, quasi a compensare un vuoto di affetti e socialità del tutto paradossale nell'epoca dei social network...

Argomento, direte voi, non certo originale. Vero. Eppure dobbiamo ammettere che Reality ci ha spiazzato, perchè ce lo aspettavamo diverso: credevamo che Garrone avesse fatto un film 'feroce', cattivo, una satira dura e senza indulgenze verso un modo di essere che ormai è tristemente radicato nel nostro tessuto sociale. E invece no. Con grande sorpresa Reality vola alto sui toni leggeri della commedia, raccontando una storia grottesca (sebbene, pare, realmente accaduta, almeno nell'antefatto) col tono lieve della fiaba, descrivendo con dolcezza e ironia la povertà e la profonda ignoranza di una pezzo di società cui Luciano, il protagonista del film, ne è lo stereotipo più azzeccato.

Non se se Garrone abbia mai visto Somewhere di Sofia Coppola: è una mia sballata supposizione, eppure giuro che le tenere pennellate con cui egli dipinge una realtà agghiacciante come quella della televisione italiana sembrano ispirarsi molto alla famosa 'scena dei Telegatti' del film vincitore a Venezia 2010. Luciano Ciotola è un semplice e ignorantello pescivendolo napoletano che un giorno, per far contenta la figlioletta, decide di iscriversi alle selezioni del Grande Fratello. Chiamato a Cinecittà per sostenere il provino, si convince chissà come di essere stato scelto e comincia ad aspettare una telefonata che non arriva mai... da quel momento il programma diventerà la sua ossessione, portandolo a confondere la realtà con i suoi sogni di gloria.

Reality è lo specchio di un Paese che vive nella speranza  dell'effimero, che ha perso ogni tipo di ideale e fede in cui credere e si aggrappa ai lustrini dello show per convincersi di valere ancora qualcosa. Luciano, in questo contesto, assomiglia molto al protagonista di The Truman Show: l'uomo medio, sempliciotto, ingenuo, manipolato da un mondo che pare incantato e invece è triste  e squallido come pochi. Garrone ha vinto la sua scommessa: il film è divertente e frizzante nella prima parte, dove viene descritto l'universo tutt'altro che dorato che circonda il protagonista, e diventa lento e gioviale man mano che ci si avvicina all'epilogo. Che, trattandosi di una favola, non può essere che a lieto fine: il bellissimo finale, che non vi raccontiamo, ci rimanda a Fellini e De Sica. Per ricordarci che anche i 'mostri' (televisivi) in fin dei conti hanno un'anima.