venerdì 30 dicembre 2011

MOSTRA DEL CINEMA: BARBERA NUOVO DIRETTORE ARTISTICO

Alberto Barbera
La notizia era nell'aria da tempo, e in questi giorni è arrivata la conferma ufficiale: Marco Mueller non sarà più il direttore artistico della Mostra del Cinema di Venezia. Al suo posto arriva (ma sarebbe meglio dire ritorna) il piemontese Alberto Barbera, 61 anni, che aveva già ricoperto il ruolo più di un decennio fa, esattamente dal 1998 al 2002.

Finisce così dopo otto anni e due mandati consecutivi l'era-Mueller, e onestamente la cosa non ci fa piacere. Certo, il tempo passa e le strade si dividono, è fisiologico nella vita di chiunque: non ci sarebbe da sorprendersi, quindi. Solo che... beh, diciamolo chiaro, questo passaggio della guardia sa molto di 'rimozione' nei confronti del curatore italo-svizzero, ormai ai ferri corti col presidente della Biennale Baratta e sempre più corteggiato dalla concorrenza (assurda, direi) del Festival di Roma.

Se ne va Mueller e se ne va con lui un'idea di Mostra che negli anni ci era piaciuta sempre di più: una Mostra aperta verso il mondo, che puntava più sulla qualità che sui nomi, che offriva ad ogni edizione una variegata possibilità di scelta e di confronto tra cinematografie 'alternative' e spesso poco conosciute. Mueller ha sempre selezionato cartelloni più che validi, senza preclusione nè preconcetti per nessuno: certo qualche errore lo ha fatto (soprattutto nella scelta dei film italiani, anche se non sapremo mai quanto in questo abbia influito la classica 'ragion di stato'), ma il livello delle sue 'Mostre' è sempre stato abbastanza alto, spesso ben più alto del quotato Festival di Cannes (come è successo quest'anno, malgrado tutto lasciasse presagire il contrario...)

Intendiamoci, non vogliamo avere pregiudizi su Alberto Barbera, anzi. Da un punto di vista strettamente tecnico garantisce continuità e prestigio internazionale, su questo non c'è dubbio. Però, diciamocela tutta, Barbera si porta dietro l'immagine di 'minestra riscaldata', di un nostalgico ritorno al passato. Starà a lui, naturalmente, smentire tutto e tutti, ma certo la prima impressione è stata piuttosto deludente. Tutta la conferenza stampa del nuovo Direttore è stata infatti incentrata sugli aspetti prettamente 'logistici' della Mostra (riqualificazione urbana, cancellazione del vergognoso 'cratere' d'amianto proprio davanti al Palazzo del Cinema, creazione di attività e strutture permanenti che possano 'invogliare' le grandi produzioni a tornare), senza tralasciare le scontate rivendicazioni economiche nei confronti del Ministero dei Beni Culturali.

Fin qui tutto bene. Quello che 'spaventa' è che Barbera non ha speso UNA sola parola che sia una riguardo gli aspetti più 'artistici' della Mostra, nè ha fornito una benchè minima idea su come intenderà organizzare la prossima rassegna, nè sugli eventuali criteri di selezione. Insomma, per ora Barbera si è mostrato più un geometra che un artista, desideroso (giustamente, ci mancherebbe!) di rimettere a posto le cose dal punto di vista delle infrastrutture, ma (sembrerebbe) per ora poco interessato a quello che è il fulcro della Mostra, vale a dire i film.

E nel frattempo il buon Mueller sta per accasarsi nella capitale, dovra avrà carta bianca e l'appoggio incondizionato dei politici romani, desiderosi di veder accresciuto il prestigio del 'balocchino' inventato da Walter Veltroni.
La guerra tra Venezia e Roma è di nuovo ricominciata... ma che tristezza!

sabato 24 dicembre 2011

THE ARTIST (FRANCIA, 2011) di Michel Hazanavicius

Forse sarà un caso, ma certo è singolare che i film più belli di questa stagione abbiano tutti una caratteristica in comune: quella di portare sullo schermo storie universali, assolute, senza tempo, che potrebbero funzionare a qualunque latitudine e in ogni occasione. Si è cominciato con il Faust di Sokurov, opera monumentale e totalizzante sulle debolezze umane, ambientata in un'epoca indefinita e spiaccicata su uno schermo verdastro e anacronistico. Abbiamo visto poi Miracolo a Le Havre di Kaurismaki, gioiellino senza età, virato in colori pastello e capace di circuirci con la disarmante dolcezza dei suoi stralunati protagonisti, veri e propri 'alieni' in un mondo che si ostina a respingere la purezza d'animo...

Jean Dujardin e Bérénice Bejo
E ora è arrivato il momento di The Artist, film che chiude inconsapevolmente questa prima 'trilogia' di capolavori, candidandosi a diventare l'evento cinematografico dell'anno. Ci voleva coraggio infatti a girare OGGI, nell'era del 3D e dell'alta definizione, una pellicola MUTA (!) dichiaratamente omaggiante il cinema degli albori, fotografata in un folgorante bianco e nero 'sporco' d'annata. E' chiaro che il rischio più alto in un film del genere è sempre quello di realizzare un'opera smaccatamente di nicchia, un giochino per cinefili, velleitaria e ruffiana,  per non dire presuntuosa. E invece The Artist, lo diciamo subito, è un film 'meraviglioso', nel senso letterale del termine, che stupisce lo spettatore non tanto per le sue caratteristiche tecniche ma per la capacità di 'colpirlo al cuore' utilizzando le armi primordiali della Settima Arte, vale a dire una regia semplicemente 'perfetta', una sceneggiatura coi fiocchi, due attori (immensi) in stato di grazia e, soprattutto, una bella Storia (con la 'S' maiuscola), capace di toccare le corde sensibili di chi guarda con semplicità e garbo.

Penelope Ann Miller
Storia che, a scanso di equivoci, non è certo originale: The Artist si ispira dichiaratamente alla vita di Charlie Chaplin, il più grande cineasta dell'epoca, 'spiazzato' dalla nascita del cinema sonoro e ostinatamente ancorato al suo passato glorioso. Qui il suo alter ego si chiama George Valentin, divo del cinema muto che si rifiuta orgogliosamente di recitare nei film sonori, finendo per restare travolto dalla nuova tecnologia. Solo l'amore (anch'esso ostinato) di una donna, lo salverà dalla rovina. Una trama semplice ma universale, come si diceva all'inizio. La storia di Valentin è la storia di tante persone, di tutte le stagioni, che non capiscono o si rifiutano di adattarsi al mondo che cambia, e che preferiscono restare se stesse anzichè seguire le mode del momento. Ovviamente pagando un prezzo.

Bérénice Bejo e Malcom McDowell
Ma sarebbe profondamente sbagliato, oltre che ingiusto, classificare The Artist come un film nostalgico e citazionista. Certo, gli omaggi cinefili sono innumerevoli (vedi il post sottostante), ma la pellicola di Michel Hazanavicius prescinde dal linguaggio e dalle tecniche usate per realizzarla, raccontando SEMPLICEMENTE una storia di amore e passione, di orgoglio e dignità, di caduta e rinascita, che funziona e funzionerà per sempre, EMOZIONANDO gli spettatori di qualsiasi età. Questa è la vera 'forza' del cinema, e solo chi non capisce questo potrà 'bollare' The Artist come un mero esercizio di stile, ma sinceramente faccio fatica ad immaginare come non ci si possa commuovere di fronte a certe sequenze di tale bellezza. Cito due scene su tutte: quella dell' 'incubo' di Valentin, in cui gli oggetti fino allora 'muti' cominciano a fare 'rumore', cacciandolo in preda al panico (lui che è l'unico che non riesce a 'parlare'...). Oppure quella, straordinaria, in cui la giovane e (ancora) sconosciuta Peppy Miller si introduce di nascosto nel camerino di Valentin, abbracciandone l'abito... e cos'è questo, se non CINEMA allo stato puro!

John Goodman
Ma un grande film è fatto anche di grandi interpreti. E la coppia formata da Jean Dujardin e Bérénice Bejo si candida di diritto ad entrare nella lista delle 'indimenticabili', fin da adesso. Ma sarebbe ingiusto non menzionare anche James Cromwell (l'autista Clifton), John Goodman (il produttore), Penelope Ann Miller (Doris, la moglie di Valentin) e anche il 'mitico' Malcom McDowell (il maggiordomo). Mai come in questo caso è valido il detto 'non esistono piccoli ruoli, ma solo piccoli attori'...

Insomma, cercate The Artist nelle sale più vicine a voi e andatelo a vedere. ADESSO. Se necessario, prendete la macchina e fate anche qualche chilometro in più: putroppo, nell'Italia dei multiplex, questa pellicola è stata fortemente penalizzata dalla distribuzione, ma vi garantisco che ne varrà assolutamente la pena. Anche per il piccolo piacere di vederlo 'prima degli altri': se infatti, come mi auguro, The Artist sarà protagonista ai Golden Globe e anche agli Oscar, vedrete che tra un paio di mesi la miopia dei nostri distributori svanirà... e anche il pubblico meno 'cinefilo' accorrerà nelle sale.
E allora voi, con giusta soddisfazione, potrete dire... ve l'avevo detto!

VOTO: *****
   

LE CITAZIONI DI 'THE ARTIST', OMAGGIO AL CINEMA

Quando le citazioni sono davvero tali, e non pure e semplici 'scopazzature', è sempre un piacere 'riconoscerle' e commentarle. The Artist è pieno di sinceri omaggi al cinema del passato, una vera gioia per gli occhi e un paradiso per cinefili. Ma non è affatto citazionismo di maniera, piuttosto un'appassionata e convinta dichiarazione d'amore verso la Settima Arte e la magìa che essa sprigiona, in qualunque epoca e con qualunque mezzo.


CANTANDO SOTTO LA PIOGGIA (di Stanley Donen, 1952)
La citazione più evidente, alla quale si ispira tutto il film, oltre che alla vicenda personale di Charlie Chaplin.  Il passaggio dal cinema muto a quello sonoro visto come la fine di un'epoca e l'inizio di una nuova storia, in cui bisogna farsi trovare preparati, pena l'oblìo. Il tip-tap finale tra Dujardin e la Bejo strappa l'applauso.



VIALE DEL TRAMONTO (di Billy Wilder, 1950)
La 'prigione dorata' in cui si rinchiude Valentin, ormai abbandonato da tutti e soffocato dai debiti, non può non ricordarci la Norma Desmond del celebre film di Wilder. La fugacità della gloria e l'orgoglio della vecchia star in declino sono i punti salienti della pellicola.

GIORNI PERDUTI (di Billy Wilder, 1945)
La perdita della fama, della gloria, della ribalta. La discesa agli inferi, la povertà, il tunnel cieco dell'alcolismo. E poi la risalita, favorita dall'ostinato amore di una donna. Impossibile non tornare indietro con la mente a questo film, sempre del grande Wilder.


VIA COL VENTO (di Victor Fleming, 1939)
Il personaggio di George Valentin, mirabilmente interpretato da Jean Dujardin, è chiaramente ispirato alla figura di Clark Gable: non solo per i 'baffetti' e la corporatura, ma anche per presenza scenica e magnetismo, oltre che per la capacità di 'reggere il palcoscenico' con fisicità e movenze, esattamente come i grandi divi del muto (e qui potremmo citare anche Rodolfo Valentino - il cognome del personaggio non è certo casuale - ed Errol Flynn...)


E' NATA UNA STELLA (di William A. Wellman, 1937)
Per una star in declino, eccone una in folle ascesa. Specchio dei tempi e del vorticoso mondo dello spettacolo. Bérénice Bejo dà vita al bellissimo ritratto di Peppy Miller, volto fresco, genuino, seducente, catapultata (NON inconsapevolmente) alla ribalta hollywoodiana. Se la caverà alla grande.



UMBERTO D (di Vittorio de Sica, 1952)
Ci piace pensare che il cagnolino che salva la vita a Valentin debba più di qualcosa a questo celebre film del neo-realismo italiano. Così come pensiamo che Michel Hazanavicius, il regista di The Artist, abbia voluto rendere un esplicito omaggio ad un cinema che ha fatto scuola.




QUARTO POTERE (di Orson Welles, 1941)
L'ormai famosa 'scena della colazione' è l'omaggio più 'ardito' e raffinato di The Artist. Ma non è un peccato di lesa maestà omaggiare il 'film dei film', se la citazione è esplicita e circostanziata. Crediamo che sarebbe piaciuta anche al grande Orson. Anzi, ne siamo sicuri.

venerdì 16 dicembre 2011

LE IDI DI MARZO (USA, 2011) di George Clooney


Avevamo già parlato diffusamente de Le Idi di Marzo in occasione della Mostra del Cinema di Venezia. Ma dal momento che il bel film di George Clooney arriva soltanto adesso nelle sale italiane, vi ripropongo il link dell'articolo pubblicato in settembre:

LE IDI DI MARZO - IL NOSTRO COMMENTO

Raccomandandovi e consigliandovi, ovviamente, di correre al cinema per vedere uno dei pochi film non necessariamente 'natalizi' di questo periodo, e del quale non resterete delusi.

giovedì 15 dicembre 2011

NOMINATIONS GOLDEN GLOBES: THE ARTIST E CLOONEY FANNO IL PIENO

Puntualmente, con precisione svizzera, le nominations ai Golden Globes aprono ufficialmente la corsa ai premi cinematografici 2011. Giunti alla 69. edizione, i premi assegnati dalla Hollywood Foreign Press Association (vale a dire i giornalisti della stampa estera che lavorano a Hollywood) costituiscono ancora una volta un ottimo 'antipasto' in attesa degli Oscar. Pur con i loro doverosi distinguo, infatti, da sempre le scelte dei Golden Globes anticipano quelle dell'Academy, e vedrete che molte delle pellicole candidate le ritroveremo anche a contendersi le statuette più importanti sul palco del Kodak Theatre.

Certo, come detto le differenze ci sono: innanzitutto i Globes dividono i film in due categorie (commedia e dramma), a differenza dell'Oscar che è 'unico'. E, soprattutto, i premi della stampa estera sono spesso e volentieri molto più 'elitari' e 'ragionati' del loro contraltare hollywoodiano: liberi (almeno apparentemente) da logiche di mercato e lobbies di categoria, i Golden Globes si distinguono per scelte meno commerciali e sicuramente più coraggiose... fu così che l'anno scorso trionfò, ad esempio, lo splendido The Social Network, che poi fu invece ignorato o quasi in sede di Oscar. Analogo trattamento fu riservato in passato, a puro titolo esemplificativo, a pellicole come Espiazione, I segreti di Brockeback Mountain, Lost in Translation...

Per questo non dobbiamo stupirci se quest'anno la pellicola più nominata è l'ormai notissimo The Artist, il film francese di Michel Hazanavicius muto e in bianco e nero, attualmente nelle sale, zeppo di omaggi e rimandi al 'cinema che fu', tenero e intelligente omaggio alla Settima Arte (ne parleremo prestissimo in maniera più approfondita). L'altro grande protagonista delle nominations è senza ombra di dubbio George Clooney, in gara addirittura con due candidature in due categorie diverse! Nello specifico, come attore in The Descendants e come regista per Le Idi di Marzo. Le due pellicole, inoltre, sono ovviamente candidate anche nella categoria per il miglior film.

A contendergli lo scettro saranno però avversari così agguerriti da fargli tremare i polsi, a cominciare dal suo 'compagno' (ne Le Idi di Marzo) Ryan Gosling (in gara anche con la commedia Crazy, stupid, love), il Brad Pitt protagonista di Moneyball, e naturalmente il Leonardo Di Caprio interprete di J.Edgar, con cui ritenterà ancora una volta la scalata all'Oscar. E poi on abbiamo certo tralasciato Jean Dujardin, 'mattatore' in The Artist e in gara (presumibilmente senza rivali) tra gli attori 'brillanti'

Bella battaglia anche tra le donne, dove nella sezione drammatica  l' 'eterna' Meryl Streep dovrà vedersela con un'altra veterana, Glenn Close, e la  splendida Tilda Swinton. Tra le commedie, invece, graditissimo il ritorno della grande Jodie Foster, che contenderà il premio alla sua 'dirimpettaia' (in Carnage) Kate Winslet. Ma tre le due litiganti potrebbe anche godere... la guastafeste Michelle Williams, molto convincente in My week with Marilyn.

Nessuna soddisfazione invece per l'Italia (ma ormai ci siamo abituati). Nella cinquina dei film stranieri c'è spazio per Pedro Almodovar (La pelle che abito), i Dardenne (Il ragazzo con la bicicletta) e per il bel lungometraggio iraniano La separazione, che potrebbe essere la vera sorpresa.
In ogni caso, appuntamento al 15 gennaio, giorno della premiazione. Ne riparleremo.

QUI TUTTE LE CANDIDATURE

MONSTERS (GB/MESSICO, 2010) di Gareth Edwards

La schizofrenica distribuzione cinematografica di casa nostra è ormai uno dei misteri più impenetrabili al mondo, e non risparmia nessuno. Non si capisce infatti come un'interessante opera prima come questo Monsters, presentato un anno e mezzo fa (!) al Festival di Locarno e con buon riscontro di critica e pubblico, approdi soltanto adesso nelle nostre sale e, per giunta, nel pieno della 'battaglia' natalizia: come dire, gettato in pasto ai leoni...

Il giovanissimo regista Gareth Edwards ha definito Monsters  addirittura come "l'inizio di un nuovo genere: la fantascienza romantica"... Noi, molto più sommessamente, vi diciamo che in realtà il film ha ben poco di originale, se si eccettua un finale azzeccato e decisamente sorprendente, ma va comunque dato atto a Edwards di aver portato sullo schermo una pellicola solida, di genere, girata con pochi mezzi ma con grande professionalità. E, bisogna dirlo, decisamente coinvolgente.

La trama: Una navicella della Nasa contenente campioni organici provenienti dallo spazio si schianta nel deserto messicano. I campioni, a contatto con l'atmosfera terrestre, favoriscono la nascita di terrificanti creature aliene che finiscono con l'"infestare" la parte settentrionale del paese, fino al confine con gli Stati Uniti. La zona viene così messa in rigida quarantena dagli eserciti dei due paesi, creando non pochi problemi a chi deve attraversare il confine (ogni riferimento all'attuale situazione politica è, diciamo, non del tutto casuale...). In questo contesto, un uomo d'affari americano incarica un giornalista senza scrupoli di "riportare" a casa la figlia rimasta bloccata in Messico. Durante una notte brava al "nostro" vengono rubati i passaporti, costringendo così la neo-coppia ad attraversare la zona infetta. Inutile dire che il viaggio non sarà agevole...


Monsters è un fanta-horror, come detto, abbastanza convenzionale, e dove la scarsità del budget a disposizione fa sì che gli effetti speciali siano ridotti al minimo, privilegiando il lato "psicologico" della vicenda (e questo certamente non è un difetto). Il terrore viene infatti "percepito" piuttosto che mostrato, non disdegnando inoltre interessanti riflessioni sul rapporto tra noi e gli altri, cercando di convincere lo spettatore che la paura del "diverso" non sempre è giustificata, anzi. Senza parlare troppo del finale (sarebbe un delitto!) vi posso dire che i "mostri" in realtà non sono poi così ostili con gli esseri umani, e che sono quindi i nostri pregiudizi nei confronti di chiunque che meritano di essere messi in "quarantena".

Non male, tutto sommato, per un'opera prima...

VOTO: ***

venerdì 9 dicembre 2011

MIDNIGHT IN PARIS (USA, 2011) di Woody Allen


Un tuffo nel passato per sfuggire un presente difficile e che non ci soddisfa. Normale, quando si ha una certa età e inevitabilmente ci troviamo a guardarci indietro, a ripercorrere ciò che si è seminato. Meno normale che il nostro vecchio caro Woody Allen, a 76 anni suonati e dopo 44 film diretti, ci 'sorprenda' avvertendoci che non esiste affatto un 'età dell'oro', ma che ognuno deve fari i conti con la propria vita e impegnarsi per renderla più bella possibile: ogni epoca può essere quella 'giusta', sta a noi imparare a stare al mondo...

Midnight in Paris gira tutto intorno a questo assunto, e va detto che rispetto alle ultime scialbe regie del cineasta newyorchese, questo film è se non altro una boccata d'aria fresca per lo spettatore, che si diverte, sorride e si lascia anche tirar fuori quel pizzico di romanticismo latente che abita dentro di lui. Certo, siamo lontani anni luce dai veri capolavori alleniani, ormai presumibilmente irripetibili, però bisogna ammettere che quest'ultimo film si basa su un'idea molto carina (per quanto non originalissima), e che come al solito i dialoghi brillanti e le ottime caratterizzazioni dei personaggi 'fantastici' finiscono per farcelo piacere.

Allen continua il suo 'tour' attraverso le grandi città europee (la prossima volta toccherà a Roma), girando un qualcosa che sta a metà tra una bella cartolina turistica e un sincero omaggio alla capitale francese. Era scontato e quasi inevitabile ambientare a Parigi, la città più romantica del mondo per eccellenza, una bella storia nostalgica e sentimentale (ma, come detto, con un messaggio sorprendentemente attuale). Certo, la pellicola non è esente da pecche (la coppia Wilson-McAdams è stereotipata e molto convenzionale, molto più bravi gli attori che interpretano i grandi artisti del passato, Adrien Brody su tutti), e il finale risulta decisamente scontato e consolatorio, ma tutto sommato Midnight in Paris è perfetto per questo periodo: un buon film natalizio, che si dimentica in fretta.

VOTO: ***

lunedì 5 dicembre 2011

GUIDA RAGIONATA AL NATALE (PER CINEFILI IN ASTINENZA...)

'Le Idi di Marzo' di George Clooney
Il Natale si avvicina, e ancora una volta il cinema sparisce. Ne avevamo parlato già un anno fa (vedi qui) e la situazione non è migliorata, anzi... Questo è un pardosso tutto italiano: nel mese in cui le sale cinematografiche fanno registrare gli incassi maggiori, la qualità dei film in circolazione cala paurosamente. Solo da noi infatti esiste il famigerato 'pubblico natalizio', quelle persone cioè che vanno al cinema solo una-volta-una all'anno e solo per godersi il 'cinepanettone' d'ordinanza.

E così, tra una vanzinata e una pieraccionata, una miriade di cartoni animati e qualche insulso blockbuster hollywoodiano, diventa difficile trovare qualche titolo decente e meritevole per 'sbarcare le feste', e soprattutto diventa difficile trovare delle sale che si occupino della programmazione alternativa: questo perchè le sale d'essai ormai si stanno estinguendo, mentre i multiplex, per evidenti ragioni, non possono esimersi dalla programmazione iper-commerciale che è la loro ragione di esistere.

'Midnight in Paris' di Woody Allen
Cosa vedere dunque in questo 'mese di passione' ? Cinematograficamente parlando, s'intende! Beh, intanto si dice un gran bene del nuovo Woody Allen: il suo Midnight in Paris sta ottenendo recensioni entusiastiche, nonchè un buon riscontro di pubblico. Sarà il fascino della capitale francese, sarà la curiosità per il cameo di Carla Bruni, sarà la ritrovata 'verve' del regista newyorchese ogni volta che si allontana dagli States... per quanto mi riguarda sono un po' scettico: Allen sono lustri ormai che non dirige film all'altezza della sua fama, ma certo meglio questo che Vacanze a Cortina! Di questi tempi bisogna accontentarsi.

Una vera 'chicca' cinefila arriva invece dalla Francia: dal 9 dicembre sarà nelle sale The Artist, il film di Michel Hazanavicius che è già diventato un piccolo 'cult': premiato e salutato da applausi scroscianti all'ultimo Festival di Cannes, è una pellicola muta (!) che si rifà espressamente ai melò stile anni '20, in un bianco e nero avvolgente e con una coppia d'attori che strappa l'applauso: gli straordinari Jean Dujardin e Berenice Bejo (per loro si parla già di Oscar in vista...). Sarà difficile trovarlo, ma di sicuro merita: è quantomeno l'unica pellicola davvero 'diversa' a cui potremo assistere in questi giorni. E complimenti al distributore (la BIM) per aver avuto il coraggio di farlo uscire a Natale. Vedremo se saranno ripagati.

'The Artist' di Michel Hazanavicius
E così, non sapendo se consigliarvi o no il mieloso Capodanno a New York (che non è di Neri Parenti, ma una produzione hollywoodiana: diretto da Garry Marshall - quello di Pretty woman - con un cast da capogiro: Bob DeNiro, Jessica Biel, Halle Berry, Hilary Swank, Michelle Pfeiffer, Zac Efron...), va a finire che l'unico vero titolo su cui posso garantirvi che andrete sul sicuro (anche perchè l'ho già visto) è l'ultimo film di George Clooney: le sue Idi di Marzo saranno in sala del 16 dicembre, e sarà interessante vedere se il pubblico nazional-popolare e dal palato facile, tipico delle feste comandate, premieranno questo appassionato e disilluso pamphlet politico, che sta al Natale come il cavolo a merenda. Ve lo raccomando: non perdetelo! E' una pellicola forte, complessa, appassionata, splendidamente classica e recitata magnificamente. Ne abbiamo parlato già al momento della sua presentazione a Venezia (vedi qui) e adesso è (finalmente) arrivato il momento vederla tutti insieme.

'Capodanno a New York' di Garry Marshall
Stop. Il manuale di sopravvivenza termina qui. Tre titoli e mezzo in mese, dunque... c'è poco da stare allegri. Ma se sarete capaci di sopportare l'astinenza, vi dò subito l'appuntamento al nuovo anno: appena il tempo di smaltire il cenone ed ecco, dal 4 gennaio, arrivare prepotentemente il vecchio Clint Eastwood e il suo J.Edgar, con un grande Leo DiCaprio nel ruolo del 'mitico' direttore dell' FBI.
Altro che i botti di Capodanno !!
 

domenica 4 dicembre 2011

EUROPEAN FILM AWARDS: VINCE MELANCHOLIA

C'è del genio in Danimarca: la notte degli European Film Awards (EFA), vale a dire gli Oscar europei, incorona due registi del piccolo ma vitalissimo paese scandinavo. Certo il prestigio di questi premi non è proprio lo stesso di quelli hollywoodiani  (anche perchè va detto che gli organizzatori, forse in nome di uno 'snobismo' di fondo tipicamente europeo, non è che si danno molto da fare per la loro promozione), ma indubbiamente per i danesi è motivo di grande e legittimo orgoglio. Soprattutto per una nazione che, a livello di risorse finanziare e artistiche a disposizione, non può certo paragonarsi con le 'potenze' cinefile del vecchio continente (Italia, Francia, Spagna e Germania su tutte).

A Berlino vince dunque Melancholia di Lars Von Trier, che si aggiudica le statuette per il miglior film, la miglior fotografia e le migliori scene. Premio indubbiamente meritato per una pellicola potente, visionaria, disperata, ma anche rigorosa e struggente, finalmente senza gli eccessi stilistici di molte opere dello stesso regista. Von Trier si conferma anche grandissimo direttore di attrici, in questo caso le bravissime Kirsten Dunst e Charlotte Gainsbourg.

'Melancholia', miglior film europeo
Ed è ancora Danimarca anche per il premio per la miglior regia: ad aggiudicarselo è Susanne Bier per il suo In un mondo migliore, a sua volta già premiato a febbraio con l'Oscar 'americano', a conclusione di un anno da incorniciare per la sua brava regista. E niente da dire nemmeno sulla scelta della miglior attrice, che è risultata la brivissima Tilda Swinton per We need to talk about Kevin. La Swinton era già finita in nomination l'anno scorso con Io sono l'amore di Guadagnino.

Susanne Bier, miglior regista
Il premio per il miglior attore va invece a Colin Firth, per la sua interpretazione ne Il discorso del re: unica statuetta vinta dal film trionfatore agli Oscar d'oltreoceano, ma che in Europa non ha trovato frotte di estimatori. Giustamente, direi: la pellicola di Tom Hooper è stata fin troppo sopravvalutata negli States, ottenendo una messe di premi che sono indubbiamente troppi per un film patinatissimo, elegante, stilisticamente perfetto ma oltremodo lezioso e 'ruffiano'. Bravi i giurati europei a non essersi fatti abbindolare dal manierismo di fondo di quest'opera. Peccato invece per il 'nostro' Michel Piccoli, che non ce l'ha fatta a vincere per Habemus Papam di Nanni Moretti, ma che si è 'consolato' con un premio alla carriera.

Italia a bocca asciutta, dunque. E d'altronde non avevamo molte speranze. Moretti era il nostro unico nome in gara, ma si sapeva che non avrebbe incantato i cuori dei giurati: a testimonianza dell'enorme difficoltà dei prodotti di casa nostra ad essere 'venduti' all'estero... Habemus Papam era un degno candidato, ma certo non poteva nulla di fronte ai titoli che abbiamo elencato fin qui, ben più 'strombazzati' dai media. In nome di un provincialismo di fondo tipicamente italiano.
Riconoscimenti anche ai fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne per la sceneggiatura de Il ragazzo con la bicicletta e al compositore Ludovic Bource per le musiche di The Artist, autentica sorpresa della stagione. Ma di questo piccolo film francese, girato in b/n e addirittura muto (!) ne riparleremo prestissimo...

sabato 3 dicembre 2011

FINALMENTE IN COMMERCIO LA VERSIONE INTEGRALE DI 'NOI CREDEVAMO' !

Una bella notizia per tutti gli appassionati di cinema: finalmente, anche se con colpevole ritardo, esce in commercio la versione integrale in dvd di Noi credevamo, il capolavoro di Mario Martone sul Risorgimento italiano. E così, a distanza di oltre un anno dalla 'prima' ufficiale alla Mostra di Venezia 2010, è stata resa giustizia a una pellicola che era stata 'violentata' almeno due volte: la prima al momento del suo debutto in sala, sforbiciata di quasi mezz'ora per mere esigenze commerciali e poi boicottata in sede di distribuzione dalla stessa casa produttrice (nella fattispecie la Rai, vale a dire il 'servizio pubblico'). La seconda quando venne fatta uscire per l'home-video la stessa versione tagliata e perdipiù senza uno straccio di extra.

Adesso, invece, dal 14 dicembre prossimo la 01 Distribution metterà in commercio uno splendido cofanetto in due dischi, che già si propone come un'imperdibile strenna natalizia: oltre alla versione integrale del film, infatti, coloro che lo acquisteranno potranno godersi anche l'intera colonna sonora del film, alcune scene tagliate e tutte le interviste ai protagonisti. Il tutto ovviamente sia in dvd che in blue-ray.

Buona visione!

domenica 27 novembre 2011

MIRACOLO A LE HAVRE (Finlandia, 2011) di Aki Kaurismaki

Per una volta, forse involontariamente, i titolisti italiani hanno fatto centro: l'ultimo film di Aki Kaurismaki si chiama in tutto il mondo semplicemente Le Havre. Da noi invece è stata aggiunta la parola 'miracolo', e mai come in questo caso non poteva essere più appropriata... a dire la verità il paragone con De Sica c'entra poco: qui il vero miracolo è il film stesso, un gioiellino di inestimabile bellezza, tenerissimo, disarmante nella sua semplicità e nella capacità di arrivare immediatamente al cuore di noi spettatori, nel più classico stile del regista scandinavo.

Kaurismaki stavolta va in trasferta: abbandona la sua amata Finlandia per trasferirsi momentaneamente a Le Havre, cittadina francese nota al mondo solo per il suo porto e per il fatto di essere il principale snodo marittimo verso le coste britanniche. Qui vive placidamente Marcel Marx (interpretato da un superlativo Andrè Wilms): ex scrittore, ex bohemièn, ex alcolista, ora ridottosi a praticare con garbo e dignità il mestiere di lustrascarpe. La sua esistenza, da tempo immutabile, viene improvvisamente sconvolta da due eventi imprevedibili: la grave malattia della moglie (apparentemente incurabile) e l'incontro con un piccolo clandestino, Idrissa, che Marcel prenderà con sè e cercherà in tutti i modi, anche sfidando le assurde leggi anti-immigrazione, di aiutarlo a raggiungere Londra per ricongiungersi con la mamma.

Miracolo a Le Havre è una storia senza tempo, fuori dal mondo, universale, che come dice lo stesso Kaurismaki 'potrebbe svolgersi ovunque': solo lo stile del grande regista è inconfondibile, fatto al solito  di comicità surreale, personaggi silenziosi e stralunati, fotografia amabilmente 'd'epoca', infiniti rimandi cinefili e, soprattutto, del consueto registro leggero e sensibile, capace di far commuovere semplicemente con poche inquadrature, in dettagli apparentemente insignificanti (ad esempio l'albero in fiore, simboleggiare il ritorno alla vita...)

E' una bellissima favola questo film, capace di passare in pochi momenti dalla commedia al dramma, dal   divertimento alla rabbia, alla preoccupazione. Il tono è lieve, ma si toccano temi importanti come l'immigrazione, l'umanità, la solidarietà, la malattia, il viaggio... E l'inevitabile lieto fine non può certo farci dimenticare il mondo in cui viviamo, con le sue assurde logiche e le leggi ingiuste.
Miracolo a Le Havre esce nelle sale questo weekend, ma noi ci auguriamo che possa rimanerci a lungo. Magari per tutte le feste. E sarebbe bello se quegli spettatori che vanno al cinema una volta l'anno scegliessero questo come loro 'film di Natale'. Sarebbe, anzi, assolutamente perfetto.

VOTO: *****

ANONYMOUS (Germania, 2011) di Roland Emmerich

Metti che un vecchio amico ti invita una sera al cinema, una scusa per rivedersi. Metti che, a conti fatti, quella sera non hai davvero niente di meglio da fare. Metti che una volta tanto sei anche disposto ad assistere a una caz**** per trascorrere una serata in compagnia... persino a un film di Roland Emmerich!

Insomma, non si può certo dire che da Anonymous mi aspettassi chissà che cosa. Ero anzi piuttosto rassegnato e preparato al peggio: d'altronde è piuttosto facile essere prevenuti nei confronti del 'creatore' di Independence Day e Godzilla... Sarà per questo, allora, che tutto sommato il film non mi è nemmeno dispiaciuto. Certo, prendere sul serio dal punto di vista storico e letterario questo spettacolare polpettone in costume è oggettivamente impossibile, però va detto che il risultato finale non è poi così terribile: se facciamo finta di non sapere chi è stato Shakespeare e immaginiamo di assistere a una costosa fiction in salsa cinquecentesca, bisogna riconoscere che la pellicola nonostante la lunghezza (due ore e venti) regge bene il ritmo e mantiene sufficientemente alta la tensione. Di più non era lecito chiedere.

Anonymous deve il suo interesse principalmente allo spunto che è alla base del film: la teoria, intrigante ma mai provata, che William Shakespeare non fosse affatto l'autore dei suoi grandi capolavori, ma solo un misero prestanome alle dipendenze del Conte di Oxford, tale Edward De Vere, vero artefice di tutte le opere e impossibilitato ad apparire per ragioni di decoro (ai tempi il teatro era considerato un'attività disdicevole per un nobile), e tuttavia ben deciso a vederle rappresentate in scena. Insomma, il Bardo visto come il più grande impostore della storia: roba da far tremare i polsi!

Naturalmente il film di Emmerich non aggiunge alcun elemento utile a suffragare questa fantasiosa ipotesi, così come è chiaro sin dal primo momento che al regista interessa ben altro che un'accurata ricostruzione storica su un qualcosa che è poco più di 'leggenda metropolitana': la pellicola è un buon thriller storico, pieno di colpi di scena, intrighi di palazzo, molta azione e, ovviamente (come poteva mancare?) anche un bel po' di sesso. Un qualcosa a metà strada tra Il Codice Da Vinci e i racconti di Valerio Massimo Manfredi, tanto per capirci. Ma fortunatamente molto meno pretenzioso!

 D'altronde non è nemmeno la prima volta che il grande drammaturgo inglese è oggetto di rivisitazioni storiche afferenti la sua produzione letteraria: già nel 1998 l'americano John Madden aveva diretto il suo Shakespeare in Love, delicata, patinatissima e accurata commedia in costume, in cui si cercava di far credere al pubblico che il 'motore' della produzione shakespeariana fosse l'amore dello scrittore verso una bella fanciulla: la 'fantomatica' Viola De Lesseps. Teoria anche questa mai dimostrata, ma che valse ben sette Oscar alla pellicola in questione.

Anonymous invece vola più basso, ma il risultato come detto è godibile. Merito anche dei due interpreti principali, i navigati Rhys Ifans e Vanessa Redgrave, che danno all'opera quel valore aggiunto tale da renderla accettabile anche agli occhi dello spettatore più esigente. E che confermano, se mai ce ne fosse bisogno, che il cinema è fatto di uomini più che di effetti speciali...

VOTO: ***

martedì 22 novembre 2011

amori cinefili / CAREY MULLIGAN

Durante le riprese di Non lasciarmi veniva scambiata (come lei stessa ammette, divertita) per 'l'assistente di scena di Keira Knightley'. E certo non si può dire che Carey Mulligan sia una tipa che buca lo schermo: biondina minuta, trucco acqua e sapone, carattere non certo esuberante... insomma, una che se la incontri per strada difficilmente ti giri a guardarla. Eppure questa giovanissima inglesina (è nata a Londra nel 1985) sul grande schermo ci sa fare eccome: e se scorrete la sua filmografia vi accorgerete che è stata eccellente interprete di pellicole tutt'altro che commerciali e decisamente non facili.

Ma andiamo con ordine: Carey Mulligan debutta artisticamente nel 2005 in Orgoglio e pregiudizio di Joe Wright, non disdegnando (senza puzza sotto il naso) diverse apparizioni in serial televisivi britannici. Nel frattempo studia recitazione sperando nella 'chiamata della vita' da parte della grande Hollywood. Chiamata che arriva (quasi) puntualmente quattro anni dopo, nientemeno che da un 'gigante' come  Michael Mann che la scrittura per il suo Nemico Pubblico. E' l'occasione che potrebbe valere una carriera, eppure accade quello che non ti aspetti: la ragazza appare disorientata nella 'mecca del cinema', e decide coraggiosamente di ripiegare sui circuiti alternativi delle produzioni indipendenti: ed ecco che arrivano allora i ruoli in Brothers di Jim Sheridan e nel già citato Non Lasciarmi di Mark Romanek.

A volte il coraggio paga. La Mulligan è brava, molto brava, e diventa subito una piccola 'icona' del cinema indipendente. Ma per trovare la parte più bella (finora) della carriera deve rientrare in patria e affidarsi a una regista danese, Lone Scherfig, che la scrittura per il suo An education, costruendole un ruolo che sembra scritto apposta per lei: quello di una giovane studentessa di provincia che si invaghisce, ricambiata, di un fascinoso 'dandy' della Londra-bene che la fa crescere... molto in fretta, mettendo in subbuglio la benpensante società britannica degli anni '60. E' il ruolo che le vale svariati premi in patria e fuori, coronati dalla prestigiosa nomination all'oscar.

Logico che lasciare fuori Hollywood dalla propria vita adesso è parecchio più difficile. Però la Mulligan resta con la testa ben salda sulle spalle, selezionando copioni adatti alle sue corde e senza svendersi allo star-system. Arrivano così film come il cupo (ma affascinante) Drive di Winding Refn e, soprattutto, Wall Street-Il denaro non dorme mai di Oliver Stone. Il film in realtà fa schifo, ma sul set nasce la dirompente passione con il protagonista Shia LaBeouf: la storia d'amore durerà poco ma, sempre con parole sue, 'varrà molto la pena di essere vissuta'.

Oggi Carey Mulligan è considerata una delle dieci migliori attrici under-30 del mondo. Il suo nome è sinonimo di professionalità, bravura, fascino e competenza. E' inutile dire che ne sentiremo parlare ancora tanto, tantissimo. A cominciare proprio dal suo prossimo film, che viene già annunciato come l'evento assoluto della prossima stagione cinematografica: interpreterà infatti Daisy Fay nel remake de Il Grande Gatsby, diretto da Baz Luhrmann e con a fianco uno come Leonardo Di Caprio... volete vedere che dopo nessuno la scambierà per un'assistente?

domenica 20 novembre 2011

SCIALLA! (Italia, 2011) di Francesco Bruni

Diciamolo subito: Scialla! non è affatto un brutto film, tuttaltro. E' l'opera prima di un noto sceneggiatore che, come tanti suoi colleghi, decide di fare il grande salto dietro la macchina da presa. E Francesco Bruni è stato parecchio furbo, o se volete più accorto di tanti altri: anzichè, infatti, tentare di realizzare subito il 'film della vita', ha preferito giocare sul sicuro con una commedia di stampo molto (troppo) classico, che ha immediatamente fatto gridare al 'miracolo' buona parte della critica italiana, finendo addirittura per essere premiato alla Mostra di Venezia nella sezione 'Controcampo Italiano'.

Ecco, Scialla! è il tipico esempio della pochezza di idee e della mancanza di coraggio del cineasta italiano 'medio'. Ci dispiace dirlo ma è così: tolti i soliti Sorrentino, Garrone, Giordana, Martone e pochi, pochissimi altri, il 'mare magnum' del 'ggiovane' cinema italiano sta tutto in questa commediola ben fatta, ben scritta (e vorrei vedere!), ben recitata, 'carina' quanto vuoi ma emozionante quanto una tazza di camomilla. Scialla! è il classico prodotto di consumo per gli spettatori senza pretese e col palato buono (purtroppo la maggioranza nelle nostre sale, e Bruni è stato scaltro anche in questo), che diverte, fa sorridere, ma che una volta usciti dalla sala evapora come neve al sole, non ti resta veramente niente che valga la pena di essere ricordato.

l'esordiente Filippo Scicchitano
La trama è abusatissima: un giovane studentello problematico, coatto, inconcludente ma brillante, viene parcheggiato in casa del solito professore disilluso ma 'alternativo' , che è anche (ma guarda un pò!) il padre segreto del ragazzo. Ovviamente la convivenza all'inizio andrà di pari passo con i risultati scolastici (chiaramente disastrosi) ma poi, come in ogni commedia che si rispetti, i due riusciranno a capirsi e a recuperare il rapporto. E tutti vivranno felici e contenti...

Stop. Scialla! è tutto qui. Inutile aspettarsi altro, qualsiasi barlume di originalità. Certo, si fanno apprezzare le prove di Fabrizio Bentivoglio (il professore sciroccato venuto dal nord), Barbora Bobulova (la pornostar cresciuta che cerca di 'ripulirsi' la fedina morale) e soprattutto del quindicenne Filippo Scicchitano (lo studente) al suo debutto cinematografico. Bravissimo. Bruni dirige con mano sicura, il film fila via tranquillamente, si fa persino qualche risata.  Ma, aldilà di questo, tutto il resto è veramente noia.

VOTO: **

domenica 13 novembre 2011

ONE DAY (GB, 2011) di Lone Scherfig


Può un'amicizia trasformarsi in amore? O addirittura coesistere? E qual è il confine? Possono due persone incontrarsi, conoscersi, lasciarsi, riprendersi, amarsi senza saperlo (o fingendo di non saperlo) per quasi vent'anni, fino a scoprire di non poter stare l'una lontano dall'altra? E' quello che accade a due ragazzi scozzesi, Emma e Dexter, che si conoscono per caso il giorno della loro laurea (il 15 luglio 1988) e le cui vite s'intrecceranno, guardacaso, per quasi due decadi, finchè un avvenimento 'definitivo' (non vi diciamo quale) porrà fine a ogni domanda...

One Day è tratto da un fortunato bestseller di David Nicholls (qui nelle vesti di sceneggiatore), che non ho letto ma che pare sia diventato un piccolo 'cult' della letteratura post-adolescenziale. Il film, non originalissimo per tematiche, si basa su un assunto alquanto particolare: raccontare per un giorno all'anno di ogni anno (il 15 luglio, appunto) i destini incrociati dei due giovani protagonisti. In realtà le vicende di Emma e Dexter si sviluppano per tempi ben più lunghi, ma a noi ci viene fatto vedere solo quello che accade in un solo giorno. Quel giorno.

Jim Sturgess
Il film vorrebbe essere una tenera riflessione sul destino, sull'imprevedibilità della vita, sull'impossibilità di governare la passione. La regista Lone Scherfig (quella di An Education) riesce discretamente a tenere a bada la componente 'romantica' del film, senza eccedere nella mielosità, ma la struttura estremamente rigida della storia costringe la sceneggiatura a sorvolare su troppe 'pagine' (cioè anni) per rientrare nei tempi 'filmici' a disposizione. Alcune annate durano lo spazio di pochi secondi (a volte una sola nuotata in piscina, mentre immaginiamo che nel libro ogni capitolo sarà stato senz'altro più approfondito) finendo così per togliere molto fascino alla storia e rendendola abbastanza prevedibile.

Anne Hathaway
Anche non avendo letto il libro, infatti, lo spettatore capisce sempre prima quello che succederà di lì a poco, finendo inevitabilmente per togliere suspance e curiosità alla pellicola. In pratica non ci si emoziona mai, eccezion fatta per gli ultimi dieci minuti dove il tocco leggero, delicato e tipicamente femminile della regista porta inevitabilmente alla commozione, pur senza 'ricattare' chi guarda. Salvo però ricredersi appena dopo, a causa di un doppio finale appiccicaticcio e consolatorio, assolutamente non necessario. Discrete le interpretazioni dei due attori (Anne Hathaway e Jim Sturgess), anche se non invecchiano praticamente mai per vent'anni (nemmeno una ruga...).

Tuttavia, la visione di One Day non può non riportarci alla mente un bel film italiano di qualche anno fa: si tratta di  Un amore di Gianluca Maria Tavarelli, pellicola datata 1999 e passata come una meteora nelle sale italiane nonchè in home video. La trama è incredibilmente simile, ma la costruzione e l'impatto emotivo sono decisamente superiori al film della Scherfig. Può essere un'occasione per riscoprirlo. Non ve ne pentirete.

VOTO: **

sabato 12 novembre 2011

'FAUST' E' GRANDE. MA LO SPETTATORE E' DIVENTATO PICCOLO.

La locandina 'internazionale' del film...
Ci sono dei film verso i quali ti senti clamorosamente inadeguato. I tre lettori di questo blog si saranno accorti da tempo che non ho recensito il vincitore del Leone d'Oro di Venezia, ovvero il Faust di Sokurov. Il motivo è semplice: non me la sono sentita, perchè di fronte a un'opera così complessa e grandiosa mi sono dovuto arrendere alla mia impreparazione... Chiamatela pure ignoranza, se volete: non ho mai letto il testo letterario, e certamente vedere un film come questo senza avere basi culturali adeguate è tremendamente difficile. Insomma, non ci ho capito molto e non mi vergogno a dirlo.

Tuttavia, credo che chiunque 'mastichi' un po' di cinema, chiunque abbia un minimo di passione e dedizione verso la settima arte, non possa non riconoscere a Faust la magniloquenza e il rispetto che si merita. Sono dati oggettivi, non sensazioni. Faust è un film monumentale, epico, visivamente grandioso, certo non facilmente digeribile, tuttavia di una bellezza incontestabile.

Quando però leggo articoli di giornale come QUESTO, non posso non prendere atto (per l'ennesima volta, purtroppo) della spaventosa regressione culturale dello spettatore italiano medio. Nell'articolo di Elisa Battistini (ottima giornalista, peraltro) si parla di 'tasso di noia' legato a produzioni come queste, dando per scontato che un film come Faust risulti 'soporifero' a priori, a prescindere dalla 'confezione'. Si parla di 'grande sonno che avanza', di spettatori che dormono in sala o la abbandonano prima, addirittura come di un rimedio consigliato per l'insonnia!

Ecco, io a questa visione delle cose non ci sto. Non so se Faust sia un capolavoro, ma ritengo di poter dire che sia un film bellissimo, faticoso, difficile, ma certamente non noioso. Io l'ho visto a Venezia, alle due del pomeriggio (quindi a stomaco pieno), in lingua originale (in tedesco!) con sottotitoli, eppure non mi sono addormentato, anzi! Maledivo, semmai, la mia assoluta ignoranza verso il testo di Goethe, che mi impediva di apprezzarlo e capirlo appieno,  ma ero tremendamente affascinato da quello che passava sullo schermo, non fosse altro perchè stavo assistendo a un film incredibilmente 'diverso' da tutti gli altri: proiettato in un anacronistico formato 4:3, con 'quadri' , luci e scenografie tendenti  al verde, stile inizio secolo (ricorda molto Il gabinetto del dottor Caligari),  una fotografia 'sporca', un'atmosfera mortifera, putrida, agghiacciante, che ti mette scientificamente a disagio per tutta la durata del film ma che... di sicuro non ti fa dormire!!

...e quella della versione 'italiana'
Non è colpa di Faust se la gente dorme in sala. E' colpa di chi va a vedere Faust senza un minimo di preparazione, senza documentarsi, senza avere idea di quello a cui sta per assistere: una partita di calcio può essere emozionante fino all'infarto, ma se chi la guarda non sa nulla di calcio si addormenterà esattamente come vedendo Faust. Lo spettatore medio non fa alcuno sforzo, perchè non ne ha proprio voglia e non gli interessa, e magari va a vedere un film di Sokurov solo perchè non ha trovato posto nella sala accanto, dove proiettano film infinitamente più noiosi come Il cuore grande delle ragazze di Pupi Avati (che da dieci anni fa sempre lo stesso film), o come il TinTin di un inaridito Spielberg, che prende per i fondelli la gente fingendo di essere ancora 'ingenuo' e 'smaliziato' come ad inizio carriera... e c'è chi casca ancora!

Non si può accusare Faust di essere noioso, se 'noioso' per la gente significa un qualsiasi film che si eleva appena appena dalla melassa commerciale del prodotto da multisala. Così come non si può accusare di 'snobismo' coloro che (giustamente!) dicono che Faust non è un film 'per tutti'. Non lo è perchè richiede, semplicemente, un minimo sforzo in più allo spettatore. Sforzo che l'italiano medio si rifiuta di fare, perchè ormai 'anestetizzato' a tutto (non solo al cinema...). Perfino la locandina italiana di Faust è stata 'aggiustata', nel patetico tentativo di spacciare il film come un 'melò' stile 'Elisa di Rivombrosa' e renderlo più 'commerciale' possibile. Parafrasando Norma Desmond, Sokurov è sempre grande. E' lo spettatore che è diventato piccolo.