domenica 26 dicembre 2010

Buon Natale! \ AMERICAN LIFE (USA, 2010) di Sam Mendes

'Away we go' recita il titolo originale, ben più eloquente di quello affibbiato dalla nostra distribuzione, che scimmiotta il recente passato del regista Sam Mendes... L'America descritta in questo film infatti non ha più niente di 'Beauty' ma, anzi, assomiglia a qualsiasi altro paese al mondo, con gli stessi problemi e le stesse speranze di una giovane coppia che cerca, convinta di poterlo trovare davvero, una specie di 'luogo ideale' dove far nascere il proprio figlio.
Bart e Verona sono entrambi trentaquattrenni, precari, con poche certezze e molti sogni in testa. E vivono la loro precarietà con totale disincanto e consapevolezza, tipiche di chi in questa condizione, appunto, ci si trova da sempre.

Essi vagano in lungo e in largo per tutto il Nordamerica, passando da Phoenix per Tucson, da Madison fino al Colorado e fino al Canada alla ricerca della 'comunità' perfetta dove stabilirsi e piantare radici: attraverso questo viaggio s'imbatteranno in personaggi improbabili e surreali, come una cugina di Bart totalmente sciroccata e 'figlia dei fiori' (con un enorme letto matrimoniale dove dormono tutti i membri della famiglia, bimbi compresi), il di lui fratello (ragazzo-padre, abbandonato dalla moglie e con una figlia da accudire), una ex-collega di lavoro ninfomane e sboccata, che insulta i figli e 'ci prova' spudoratamente...

American Life sembra essere, per così dire, la 'versione natalizia' di Revolutionary Road: il tono è lieve, sarcastico, da commedia leggera, cammuffato da ennesimo road-movie... ma le prerogative sono le stesse: la perdita di valori in una società che sembra non avere più niente di umano, e dove l'unica possibilità di salvezza pare essere proprio quella del 'chiamarsi fuori', di tagliare i ponti col mondo esterno, trovando (finalmente) il proprio luogo dell'anima nella grande casa d'infanzia, rifugio uterino e 'incontaminato'.
Conclusione forse, banale e scontata. Ma il film ci arriva dopo un'oretta e mezza veloce e frizzante, dove si ride e si riflette, senza deprimersi. E, per un film 'natalizo', direi che è già tanto.

VOTO: * * *

Buon Natale! \ DEPARTURES (Giappone, 2008) di Yojiro Takita

Può sembrare un paradosso: vedere nel giorno di Natale un film che parla di morte. Eppure Departures, il film giapponese che nel 2008 ha conquistato l'Oscar come Miglior Film Straniero è uno dei film più 'natalizi' che abbia mai visto, nel senso buono del termine. E' una pellicola poetica, lieve, disarmante nella sua delicatezza e nella facilità con la quale riesce a penetrare nei sentimenti di chi la guarda, affrontando e sdrammatizzando con toni ora comici ora toccanti (ma mai drammatici o ricattatori) un argomento difficile come, appunto, quello del... trapasso.

Sì, perchè le 'partenze' del titolo non sono altro che quelle... verso l'aldilà! Nello stesso equivoco cade ingenuamente anche Daigo, giovane musicista disoccupato che torna al paesello natìo per ricostruirsi una vita e cercare un nuovo impiego. Il protagonista risponde ad un ambiguo annuncio di lavoro, credendo di essere stato assunto da un'agenzia di viaggi, mentre invece capirà ben presto che quell' 'agenzia' si occupa in particolare solo... dell' 'ultimo' viaggio! Daigo si ritrova così a fare il 'tanato-esteta', vale a dire colui che nell'antichissima tradizione giapponese ha il compito di rivestire, curare e ridare dignità al corpo dei defunti prima di essere cremati.

All'inizio la 'novità' è ovviamente sconvolgente, ma la paga è buona e la fatica non è molta. E così Daigo accetta il lavoro, scoprendo giorno dopo giorno di avere un particolare talento... lui, ragazzo timido e molto sensibile, con scarsa fiducia in se stesso (ha rinunciato alla carriera musicale perchè convinto della sua mediocrità) scoprirà attraverso il rapporto con i familiari dei defunti e la sacralità di un'arte vecchia quanto il mondo, la chiave di volta per la sua esistenza. Attraverso una danza rituale (ma mai macabra) che toglie i vestiti e ricompone la salma restituendole un aspetto umano, Daigo si sente finalmente utile e non insignificante, maturando convinzione nei suoi mezzi e ricavando da ogni 'esperienza' una significativa lezione di vita.

In Departures c'è tanta poesia e tanta bellezza. Si respira l'aria di una terra lontana e immaginifica, iper-tecnologica eppure attaccatissima alle proprie tradizioni, ai propri simboli e ai propri luoghi. Che possono essere un buon tè caldo, i peschi in fiore, un bagno pubblico frequentato dagli anziani del paese, un bar abbandonato pieno di ricordi...
E c'è anche tanta felicità, a dispetto del tema 'scabroso': quella di un ragazzo che riesce a realizzarsi e trovare la propria pace interiore, malgrado i pregiudizi degli altri. E ad infondere nello spettatore un senso di appagamento e conforto.
Scusate se è poco.

VOTO: * * * *

sabato 25 dicembre 2010

Buon Natale! \ A CASA PER LE VACANZE (USA, 1995) di Jodie Foster


La festa è quella del Ringraziamento, ma per noi cambia poco... i riti sono gli stessi e pure le situazioni. Ogni anno con l'approssimarsi del Natale mi viene spontaneo rivedere questo film spassosissimo e malinconico, opera seconda da regista di Jodie Foster. Una commedia dolceamara, imperniata sul tema della famiglia, sempre caro alla regista e con ovvi riferimenti alla propria situazione personale: la Foster, come si sa, non ha mai avuto una famiglia 'normale', e il messaggio del film è chiaro: la famiglia, per quanto strampalata, oppresiva, soffocante, improbabile che sia, è sempre la famiglia, e i legami di sangue sono più forti di ogni altra cosa. Malgrado, davvero, tutto quello che può succedere nel Pranzo del Thanksgiving!

Il film è infatti la cronaca di una 'giornata' particolare: quella di Claudia, ragazza-madre trentenne che torna a casa dai suoi genitori per il giorno del Ringraziamento. Le cose non le vanno necessariamente benissimo: è raffreddata e malaticcia, ha appena perso il lavoro, la figlia adolescente è rimasta a casa da sola col chiaro intento di perdere la verginità in quel weekend, la aspetta una riunione di famiglia che somiglia davvero a un incubo: ritroverà la madre conformista e iper-protettiva, il padre malinconico e bonaccione, una zia arteriosclerotica e fuori di testa, il fratello gay e 'destabilizzante', la sorella e il cognato (con tanto di nipote) convinti di essere l'unica coppia 'normale' in un 'universo' del genere... aggiungete poi un vicino triste e sfigato, da sempre innamorato (e mai ricambiato) di lei, una compagna di scuola oca e antipaticissima che è riuscita a sposare l'uomo giusto', il tacchino d'ordinanza che non vuol saperne di farsi affettare e, per contrappasso, i 'lunghi coltelli' che si affileranno man mano che procede la 'reunion'...

In pratica, c'è di tutto e di più per impazzire: ma Claudia (una strepitosa Holly Hunter, evidente alter-ego della regista) sa bene che non può farne a meno. Perchè come dice la stessa Foster 'stare in famiglia è come stare in ascensore con gente con cui non si ha niente da spartire. Ti fa sentire a disagio ma ci devi stare, perchè in quel momento non hai nessuno fuorchè loro'.
Il film deve molto alle commedie di Woody Allen (le analogie con Interiors sono evidenti), e ha un andamento di pari passo con la tradizione dei 'pranzi d'occasione': scoppiettante, divertentissimo, acido nella prima parte, si fa sempre più delicato e malinconico man mano che avanzano le portate in tavola. E il finale, con gli animi finalmente sereni dopo la 'bufera', con padre e figlia da soli che riguardano i filmini dell'infanzia, strappa più di qualche lacrima.

Insomma: il film davvero 'giusto' da vedere a Natale, impreziosito da un manipolo di attori 'stagionati' e straordinari: oltre alla Hunter troviamo Ann Bancroft, Geraldine Chaplin, Charles Durning, Robert Downey jr. (forse nella sua migliore interpretazione). E' un vero peccato che una pellicola così carina sia praticamente introvabile in Italia: uscita all'epoca in vhs non è mai stata riversata in dvd e non esiste una versione in commercio. La si trova solo on-line d'importazione (in lingua originale senza sottotitoli) oppure bisogna aspettare qualche raro passaggio televisivo.
In tal caso non lasciatevelo scappare!

lunedì 20 dicembre 2010

THE TOURIST (USA, 2010) di Florian Henkel Von Donnesmarck


Talmente kitsch da risultare (quasi) divertente. The Tourist è tutto qui, e lo diciamo con una certa rassegnazione e senza sorprese, consci ormai di come funzionano le cose a Hollywood.
Indubbiamente la delusione è enorme: Florian Henkel Von Donnesmarck due anni fa aveva incantato il mondo con un gioiello di film come Le vite degli altri, facendo commuovere, indignare e sorprendere milioni di spettatori, letteralmente rapiti da un'opera prima (!) così drammatica, rigorosa ma anche assolutamente avvincente.
Poi, quando uscì la notizia che il talentuoso regista tedesco, nel frattempo 'sbarcato' oltreoceano grazie all'Oscar conquistato, avrebbe diretto come secondo film un thriller-romantico ambientato a Venezia e con la coppia Depp-Jolie come protagonisti, molti dubbi si erano addensati sulla sua reputazione...dubbi che, per una volta, hanno avuto la loro disarmante conferma.

Insomma, cosa non si fa per i soldi!
L'opera seconda di Donnesmarck è una pellicola ultra-convenzionale e ultra-hollywoodiana nell'accezione peggiore del termine: è un non-film fatto di figurine (i tanti stra-pagati protagonisti eccellenti che firmano il cast), location turistiche (una Venezia banalmente da cartolina) e il classico vuoto pneumatico di idee in fase di sceneggiatura che, capirete bene, in un thriller è più devestante di un terremoto. The Tourist nelle intenzioni vorrebbe (forse) essere un affettuoso omaggio al cinema hitchcockiano, e in questo bisogna dare atto al regista della sua onestà, addirittura troppa direi! I riferimenti a Intrigo internazionale sono, infatti, talmente evidenti e grossolani che è impossibile non scambiarlo per una 'citazione' : il classico caso dell'uomo-qualunque (in questo caso Depp) che viene coinvolto in una cosa più grande di lui... il problema è che la trama è talmente risibile e scontata che il 'telefonatissimo' colpo di scena finale si intuisce dopo cinque minuti, in pratica dal primo scambio di battute tra i due protagonisti. E da quel momento fino ai titoli di coda la vicenda si trascina stancamente ma, tutto sommato, facendo divertire lo spettatore 'grazie' (si fa per dire) ad una messinscena così pacchiana che non può non strappare sorrisi...

A questo, dobbiamo dire, contribuisce molto la protagonista principale. Angelina Jolie è talmente improbabile nel suo ruolo di 'pink-lady' (ebbene sì... ) da risultare involontariamente comica: vestita sempre come un confetto, con la cinepresa che indugia ora sul suo notorio 'lato B', ora sui suoi altrettanto celeberrimi labbroni gonfiati a due atmosfere (con tanto di rossetto rosso fuoco!), è praticamente la caricatura di se stessa. Assolutamente impossibile da prendere sul serio, esattamente come il suo partner artistico, un Johnny Depp al minimo sindacale, strizzato in goffe giacchine bianche e sempre con quell'espressione 'un po' così...' che può senz'altro andar bene per le grottesche storie di Tim Burton, ma che in un film del genere lo rendono inevitabilmente ridicolo. Stendiamo poi un velo pietoso sulla componente 'italica' del cast: saremmo davvero curiosi di sapere chi è stato a 'consigliare' a Donnesmarck, che so... non un Toni Servillo o un Luigi Lo Cascio, ma gente del calibro di Raul Bova, Christian DeSica, Nino Frassica e del povero Neri Marcorè (forse scambiato causa un banale refuso con Neri Parenti...).

Un cast improbabile per un film improbabile. Ma che, dobbiamo dirlo con sincerità, è tutto sommato godibile ed ha il grande pregio (forse l'unico) di durare poco più di un'ora e mezza, così da lasciarsi anche guardare. Naturalmente senza pretese e solo per chi va al cinema una volta l'anno.
Giusto, giustissimo dunque per il pubblico natalizio.

VOTO: * *

mercoledì 15 dicembre 2010

La 'battaglia' di Natale: istruzioni per la sopravvivenza (sob!)

Lo avrete notato: pochi post in questo mese di dicembre. Per forza: a dicembre, si sa, il cinema (quello vero) va in letargo, e a noi presunti cinefili non resta che sopportare e aspettare la Befana... che si porterà via le feste ma, perlomeno, ci farà tornare a respirare l'aria del grande schermo. Non è un paradosso: è vero (ovviamente!) che in Italia le due-tre settimane pre-natalizie sono quelle in cui si concentrano i maggiori incassi dell'anno, ed è vero che gli esercenti aspettano come il pane questo periodo, magari con un occhio alle previsioni del tempo: una nevicata un po' più 'seria' del previsto o qualche giorno di bel tempo in più possono drasticamente allontanare gli spettatori dalle sale, con conseguenze disastrose per le casse di sale e multisale.
Insomma: Natale è spesso la panacea degli 'addetti ai lavori' , e tant'è... ma, sempre a noi presunti cinefili, cosa ci aspetta in questi giorni?

Beh, le stesse pellicole di sempre: cinepanettoni, cartoni animati, fantasy, film ad un tasso spropositato di melassa da far rischiare il diabete... questo è il Natale cinematografico italiano: titoli di infima qualità, iper-commerciali, spesso scadenti, fatti apposta per quel particolare 'target' di pubblico che si reca in sala una volta l'anno, e certo non pretende titoli 'impegnati'.
Un panorama sconfortante, che non ha eguali al mondo, e che costringe i veri appassionati ad aspettare un mese o due per vedere quei film che negli altri paesi escono adesso e che magari sono in lizza per Oscar o Golden Globe.

Ed ecco che allora, tra un Natale in Sudafrica, A Natale mi sposo, Tron e l'ultima fatica (ehm...) di Silvio Muccino, va a finire che La banda dei Babbi Natale dello stanco trio Aldo, Giovanni e Giacomo finisce con l'essere il film più 'guardabile'... o se preferite, meno indegno. A questi si aggiunge poi un 'tripudio' di cartoni animati che, spinti anche dalla nuova tecnologia (o forse moda?) del 3D, quest'anno si sono moltiplicati in maniera esponenziale: ed ecco allora che Megamind, Rapunzel, Narnia, Le avventure di Sammy, si contenderanno le preferenze (e gli incassi) dei più piccini, avviati già da piccoli sulla strada del rincoglionimento totale...
Che cosa resta allora per 'sopravvivere' in queste settimane?

Poco, pochissimo. Dò qualche chance a The Tourist, l'unico film ultra-commerciale che potrebbe avere una parvenza di qualità, nel panorama desolante prima descritto. Certo, da una pellicola tanto strombazzata, modaiola, iper-hollywoodiana, fatta apposta per i grandi incassi non c'è da aspettarsi la luna, ma il regista è quel Florian Henkel Von Donnesmarck già autore del bellissimo e struggente Le vite degli altri, realizzato in patria un biennio fa. E' molto triste pensare che un cineasta così promettente e talentuoso si sia 'svenduto' allo star-system già al secondo film, ma se non altro ci possiamo aspettare un prodotto dignitoso e non volgare. Sarebbe già qualcosa.

Si dice un gran bene anche di American Life, che segna il ritorno sul grande schermo di Sam Mendes: una pellicola minimalista e tragicomica, molto indipendente, che potrebbe essere una piacevole sorpresa. E un minimo di credibilità vogliamo darla anche a La bellezza del somaro di Sergio Castellitto, storia intima e sentimentale di una famiglia 'destabilizzata' dal giovane fidanzato della figlia... se non altro per non affondare sempre il nostro cinema. E, per gli amanti del genere, esce anche L'esplosivo piano di Bazil del francese Jean-Pierre Jeunet, che dopo l'imprevisto (e molto sopravvalutato) exploit de Il favoloso mondo di Amèlie cerca disperatamente di mantenersi a quei livelli e sfidare di nuovo il botteghino. Impresa non facile perchè sarà dura ritagliarsi uno spazio tra i 'colossi' di cui sopra.

Che volete, di questi tempi bisogna accontentarsi...
Buon Natale a tutti.

sabato 4 dicembre 2010

La classifica di CIAK: i 25 migliori film di inizio millennio. Qualche riflessione...


Lo ammetto, sono uno di quelli che comprano Ciak. Da sempre. Senza storcere il naso e senza cadere nel facile snobismo del 'cinefilo-doc' che rifugge come la peste tale rivista. Ma tant'è, non si può vivere solo di 'Cahiers du Cinema'! E non bisogna commettere l'errore di pretendere da Ciak quello che non è: ovvero, Ciak è una rivista di informazione cinematografica e NON di critica. Inutile quindi scagliarsi dozzinalmente contro lo scarso spazio dedicato alle recensioni e agli approfondimenti: se volete quelli, cercate altrove. Il mensile diretto da Piera Detassis funziona come un buon trailer, e si rivolge principalmente a un pubblico giovane e adolescenziale, che forse non leggerà Cineforum o SegnoCinema ma che, magari, vede molti più film di qualche 'parruccone' di cui sopra...

Ebbene, proprio Ciak nel numero di dicembre appena uscito dedica ampio spazio alla classifica dei 25 film più belli degli 'anni zero', cioè quelli dal 2000 al 2010, votati dai propri lettori.
E prima di passare ai commenti, vediamo dunque questa classifica. Eccola:

1. Kill Bill (2003) di Q. Tarantino
2. Inception (2010) di C. Nolan
3. Il Gladiatore (2000) di R. Scott
4. Million dollar baby (2004) di C. Eastwood
5. Il Signore degli Anelli (2001) di P. Jackson
6. Il Cavaliere Oscuro (2008) di C. Nolan
7. Avatar (2009) di J. Cameron
8. Moulin Rouge (2001) di B. Luhrmann
9. The Departed (2006) di M. Scorsese
10. Up (2008) di P. Docker
11. Into the Wild (2007) di S. Penn
12. I segreti di Brockeback Mountain (2005) di A. Lee
13. Donnie Darko (2001) di R. Kelly
14. La maledizione della prima luna (2003) di G. Verbinski
15. Il pianista (2002) di R. Polanski
16. Big Fish (2003) di Tim Burton
17. Mystic River (2003) di C. Eastwood
18. Wall-E (2008) di A. Stanton
19. Le vite degli altri (2006) di F. Henkel Von Donnesmark
20. Non è un paese per vecchi (2007) di J. e E. Coen
21. Gran Torino (2008) di C. Eastwood
22. Match Point (2005) di Woody Allen
23. Gomorra (2008) di M. Garrone
24. Bastardi senza gloria (2009) di Q. Tarantino
25. Se mi lasci ti cancello (2004) di M. Gondry

Come si vede la prima cosa che balza subito agli occhi, per quanto ovvia, è che sono tutti titoli più o meno 'commerciali'. Normale, trattandosi della classifica della rivista più nazional-popolare del nostro paese. La sola eccezione è rappresentata dal 19.posto de Le vite degli altri, il grandioso e commevente affresco sulla guerra fredda firmato del tedesco Von Donnesmark, unico vero film 'd'essai' della lista (e tra parentesi anche il mio preferito, ma questo non conta). E appare chiaro anche quale sia l'età media dei partecipanti al sondaggio, ovvero medio-bassa. Non è un caso infatti che nei primi 25 ci siano molti titoli decisamente avventurosi e fantastici (generi prediletti dai ragazzi) come Il Signore degli Anelli, La maledizione della prima luna, Big Fish, Il Cavaliere Oscuro, Inception, Avatar. E anche ben due cartoni (Up e Wall-E), dato questo davvero sorprendente se si pensa che molti nemmeno considerano l'animazione come genere cinematografico a se stante.

E se il primo posto di Kill Bill (votato a stragrande maggioranza come miglior film), insieme al 24. di Bastardi senza gloria, confermano Quentin Tarantino come regista di culto di questo inizio millennio, a sorpresa si scopre che il cineasta più amato (con ben tre titoli in lista, nessuno ha saputo far meglio) è proprio il grande vecchio Clint Eastwood: il suo cinema asciutto, rigoroso, scarnificato, disilluso, scevro di qualsiasi pietismo o ruffianeria, innegabilmente onesto, è lo specchio del mondo in cui viviamo. Qualche rivista lo ha addirittura eletto a propria 'guida morale' (vedi FilmTV), e certamente la sua faccia rugosa, austera, scolpita ma anche rassicurante e malinconica, è davvero quella di un uomo del nostro tempo. Clint, fortissimamente Clint: mi associo a questo risultato e a questo modo di fare cinema. E gli auguro (e MI auguro) che il suo prossimo film, Hereafter, dedicato a un tema tanto spinoso quanto assoluto (la vita dopo la morte) possa essere il primo capolavoro della prossima decade. Da noi uscirà il 5 gennaio 2011.

Adesso però vi faccio la domanda-trabocchetto: Quali e quanti sono i film 'meritevoli' rimasti fuori da questa lista che meritano un posto nei 25? Magari quelli più 'di nicchia', meno distribuiti, meno inseriti nello star-system? I miei amici cinefili di sinistra, ultra-snob, con la kefiah al collo e 'Il Manifesto' sottobraccio (scherzo! ma li conosco davvero!) prima si metteranno a ridere, poi andranno con la mente a cercare tutti quei titoli 'de spessore' (come dicono a Roma) che in questo primo decennio hanno strappato loro un timido applauso... solo che, oibò! Già me li vedo scervellarsi a tirare fuori 'sti titoli: vuoi vedere che non è poi così facile.

Certo, manca nella lista un film come Le conseguenze dell'amore. Pellicola straordinaria, un manuale di recitazione e uno spietato affresco di un'epoca. Insieme a Gomorra (unico italiano della top-25) poteva davvero starci. Così come poteva starci lo splendido Marie-Antoinette, meravigliosa allegoria pop firmata Sofia Coppola. E anche l' 'obamiano' La 25.a ora di Spike Lee, o un altro film dei Coen, L'uomo che non c'era. I più temerari potrebbero poi spingersi fino al glaciale ma sontuoso In the mood for love di Wong-Kar-Wai, mentre ai cultori dell'animazione potrebbe sembrare un insulto l'assenza del grande Hayao Miyazaki (soprattutto con La città incantata, capolavoro del genere e non solo).
E poi? Gratta gratta... si vede che non c'è poi molto. Insomma, i film del decennio sono questi. Se non 25 potranno essere 4-5 in più ma è difficile uscire da questi. Certo, ovviamente ognuno la vede a modo suo. Anche per me in questa lista ci sono parecchi film decisamente sopravvalutati (a partire proprio da Kill Bill, ma anche The Departed, La maledizione della prima luna, Inception), qualcuno addirittura davvero brutto (Il gladiatore, Avatar), ma grossomodo non si esce da questa rosa.

Questo cosa vuol dire? Beh, innanzitutto che i giovani di oggi sono tutt'altro che stupidi. Certo, preferiscono le emozioni forti e le situazioni romantiche e 'assolute', a tutto tondo (ne sono esemplari perfetti due titoli già cult come Donnie Darko e Into the Wild) e disdegnano il nostro cinema (da sempre carente del famoso 'prodotto medio': o si fanno commedie sguaiate e volgari oppure drammoni iper-verbosi 'tre stanze e una cucina) ma le loro preferenze rispecchiano quelle della critica.

Seconda cosa, questa lista è la dimostrazione evidente che 'commerciale' non è sinonimo di bassa qualità. Sembra che oggi la parola 'commerciale' sia quasi offensiva, che girare film che incassano tanti soldi sia un demerito e non un pregio. E' chiaro che non è così, e che non è giusto generalizzare. Non tutti i film commerciali sono cine-panettoni e non tutti i film d'essai sono capolavori. D'altronde, ci sono film che nascono 'di nicchia' e che poi col passaparola della gente diventano veri e propri successi: è il caso del già citato Donnie Darko, ma anche di Big Fish o Se mi lasci ti cancello.

Mi vengono sempre in mente le parole di Peter Weir in un'intervista di qualche anno fa: 'I critici proprio non li capisco: se giro film a basso budget come Picnic ad Hanging Rock allora sono 'uno di loro', se invece faccio Master and Commander allora sono 'allineato'... eppure io lavoro sempre allo stesso modo!' Già...

Appuntamento al prossimo millennio!

venerdì 3 dicembre 2010

L'ultima zingarata

Chi mi conosce sa che non amo i 'coccodrilli'. Non mi piacciono i necrologi e difatti non ne troverete mai qui sopra: odio gli articoli preconfezionati e apologici delle grandi personalità che passano a miglior vita. Non è cinismo: semplicemente non servono, perchè chi ha avuto la fortuna di fare cinema lascia come testamento la propria opera, che vale più di mille rassegne stampa.
Questa volta però ho deciso di fare un'eccezione, e non tanto per la statura artistica di un grande maestro del cinema come Mario Monicelli, altrimenti chissà quante 'eccezioni' dovrei fare: nello stesso giorno, ad esempio, sono morti anche Leslie Nielsen e Irwin Kershner. Di sicuro meno importanti del 'Grande Vecchio' (cinematograficamente parlando, s'intende) ma egualmente capaci di regalarci tante emozioni in celluloide.

No, quello che mi ha colpito è stato il modo in cui è morto Monicelli: gettandosi giù da un balcone dell'ospedale, senza essere visto da nessuno e senza lasciare alcun messaggio a motivazione del suo gesto estremo. Non lo nego, mi ha turbato molto. Fa un certo effetto sapere che una persona si suicida a 95 anni, anche se non fosse ricca e famosa come il 'padre' della commedia all'italiana. Molti considerano il suicidio un segno di debolezza, io credo che a quell'età sia un atto di grande coraggio e di grande lucidità. Debole, semmai, è chi si toglie la vita a vent'anni, con una vita intera ancora davanti e con tante possibilità sempre aperte: si è deboli perchè non si ha la voglia di combattere, di reagire. Non è una critica, sia chiaro. Solo una constatazione: ognuno ha il diritto di disporre come vuole della sua vita, nessuno è giudice per commentare certe azioni.

Se Monicelli fosse morto di malattia, o di vecchiaia, o investito da una macchina probabilmente non avrei scritto nulla qui sopra. E in ogni caso non ci si può 'stupire' della morte di un quasi centenario. Ma saperlo morto così... beh, mi ha fatto una certa impressione e molta tristezza. Ma anche un grande rispetto verso una persona che ha voluto essere se stessa fino alla fine. Se n'è andato per sua scelta, prima che una malattia subdola e crudelle avesse ragione della sua fibra stanca e malandata. E' stata la sua ultima 'zingarata', la degna chiusura di una vita dedicata al cinema, e che il cinema (quello italiano soprattutto) rimpiangerà.

Toscanaccio burbero, irrequieto, 'scomodo' ma tremendamente geniale, Mario Monicelli ha spesso anticipato i tempi con le sue opere: divertenti, sardoniche, grottesche ma innegabilmente amare. Come se fin dagli anni '50 presagisse il vicolo cieco in cui si sarebbe infilata la cultura e la società italiana in generale da lì ai decenni futuri: tutti i suoi film sono pervasi da un'aura tragica, pessimista se non addirittura feroce: Amici Miei mi ha fatto sganasciare dalle risate, ma se lo vai ad analizzare ti accorgi senza fatica che è uno dei film più cupi e tristi del millennio che ci ha lasciato.

E' stato bello vedere l'altra sera in tv gli studenti urlare a squarciagola slogan e cori in ricordo di Monicelli. Lui, da sempre contestatore e bastiancontrario, da lassù avrà sicuramente apprezzato.
Ma, com'è nel suo stile, senza darlo troppo a vedere.