domenica 17 gennaio 2010

LA PRIMA COSA BELLA (Italia, 2010) di Paolo Virzì

Avviso ai naviganti: a scanso di equivoci, diciamo subito che questa recensione è stata scritta più con la pancia che col cervello... ne consegue che tutto quello che leggerete è fortemente influenzato dal mio stato d'animo, dal mio personale momento, dal mio carattere, dalla mia emotività. Questo per far capire (semmai ce ne fosse il bisogno) che tra i miei mestieri futuri (ah, ah!) non ci sarà di sicuro quello di critico cinematografico.
Sì, perchè i critici "veri" al momento di scrivere una recensione "devono" essere obiettivi prima di tutto con se stessi, non lasciarsi trasportare dalle emozioni, mantenere la razionalità e la capacità di giudizio, con lucidità e chiarezza.
Io però non sono fatto così. Io i film li giudico in base a quello che mi fanno sentire "dentro", in base al trasporto che mi provocano, al modo in cui mi arrivano al cuore: preferisco i film "sbagliati" ma emozionanti piuttosto che quelli "perfetti" ma disonesti verso chi li guarda.

E, in base a quanto detto, vi dico subito che l'ultimo Virzì non mi è piaciuto. Per niente.
Non mi è piaciuto perchè per quanto sia girato splendidamente, per quanto sia la miglior prova del suo regista da Ovosodo a questa parte, per quanto lo stesso regista non sia mai stato così bravo nel dirigere una storia corale, umanissima, complessa e sfaccettata (come la vita vera, del resto), trovo La prima cosa bella un film terribilmente ruffiano e buonista, ipocrita, una pellicola che ha come unico scopo quello di colpire basso chi lo guarda, costringendolo a commuoversi, a convincersi (mai convinzione fu più sbagliata!) che la vita è bella davvero.

E invece no. Malgrado quello che vuole farci credere Virzì, la vita non è affatto bella, o quantomeno non lo è per tutti. E non bastano certo le facce pulite e telegeniche di Micaela Ramazzotti o Claudia Pandolfi a convincerci del contrario. E nemmeno le atmosfere "classiche" e poetiche stile anni '70, oppure quel retrogusto di tenero "deja-vu" che permea tutto il film. Della serie "quanto era bello quando si era giovani", malgrado tutte le difficoltà e le avversità passate.

Da Virzì, una volta cineasta graffiante e goliardico, come tutti i livornesi, davvero non mi aspettavo un così scontato "inno alla famiglia", al "volemose bene", al "bene che vince su tutto". Forse hanno influito non poco la propria attuale (felicissima) situazione sentimentale, la nascita del figlio, la voglia di gridare al mondo tutto il proprio amore e la propria felicità. Ma a noi, che non siamo così ingenui nè sprovveduti, interessa soprattutto rivedere il Vero Virzì: speriamo che non si sia smarrito nella cameretta del suo pargolo...
VOTO: * *

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